Indice
- 1 Grazie a un biomarcatore scoperto a Torino, la SLA può essere riconosciuta nel sangue molti anni prima dei sintomi: diagnosi più rapida e nuove speranze di cura
- 2 I segnali nascosti nel sangue e la fase silente della SLA
- 3 Tecnologie di proteomica avanzata per scoprire 33 proteine chiave
- 4 Intelligenza artificiale e diagnosi: l’algoritmo che non sbaglia
- 5 Dalla scoperta alla speranza di nuove cure
- 6 Prospettive nella lotta alla SLA
Grazie a un biomarcatore scoperto a Torino, la SLA può essere riconosciuta nel sangue molti anni prima dei sintomi: diagnosi più rapida e nuove speranze di cura
La battaglia contro la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) potrebbe presto cambiare direzione grazie a una scoperta scientifica che arriva da Torino e dagli Stati Uniti. Un team di neurologi e bioinformatici ha infatti identificato un biomarcatore nel sangue che consente di riconoscere la malattia molto prima della comparsa dei primi sintomi clinici. Una diagnosi anticipata che, secondo gli esperti, permetterebbe di intervenire quando i motoneuroni non sono ancora gravemente compromessi.
La ricerca è stata coordinata dal professor Adriano Chiò, direttore della Neurologia 1 universitaria delle Molinette, insieme al neurologo Andrea Calvo, in collaborazione con i colleghi del National Institutes of Health (NIH). I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Medicine, rappresentano un traguardo che molti definiscono una svolta epocale per la cura delle malattie neurodegenerative.
I segnali nascosti nel sangue e la fase silente della SLA
Gli scienziati hanno dimostrato che il plasma dei pazienti affetti da SLA contiene alterazioni proteiche specifiche rispetto a quello dei soggetti sani. Questi cambiamenti, invisibili a occhio nudo ma misurabili con tecniche di alta precisione, emergono anni prima dei primi problemi motori.
“Questi risultati rappresentano una vera svolta: per la prima volta disponiamo di uno strumento potenziale non solo per migliorare ed accelerare la diagnosi di SLA, ma anche per identificarla in una fase molto precoce, permettendo di intervenire in modo più immediato e mirato”, ha spiegato il professor Chiò.
La scoperta conferma l’esistenza di una fase preclinica lunga e silente, durante la quale la patologia agisce senza dare segnali evidenti. Se intercettata in tempo, spiegano i ricercatori, la malattia potrebbe essere affrontata con terapie mirate quando il danno neuronale è ancora limitato.
Tecnologie di proteomica avanzata per scoprire 33 proteine chiave
Lo studio si è basato su una tecnologia di proteomica di nuova generazione, la piattaforma Olink Explore 3072, che consente di misurare con grande accuratezza la concentrazione di oltre tremila proteine nel sangue. Il lavoro ha coinvolto 183 pazienti con SLA e 309 persone sane. Analizzando i campioni con il sistema Olink – che sfrutta anticorpi collegati a sonde a DNA – i ricercatori hanno individuato 33 proteine con livelli significativamente alterati nei soggetti malati rispetto ai controlli.
Secondo il professor Calvo, “si tratta di una delle tecniche più innovative oggi disponibili, capace di restituire una mappa dettagliata dei processi biologici in corso e di offrire nuove chiavi di lettura per lo sviluppo di future terapie”.
Intelligenza artificiale e diagnosi: l’algoritmo che non sbaglia
Un altro elemento di rilievo dello studio è stato l’impiego dell’intelligenza artificiale. Attraverso modelli di machine learning, i ricercatori hanno sviluppato un algoritmo capace di distinguere i pazienti dai soggetti sani con una precisione del 98,3%.
Gli studiosi hanno inoltre analizzato campioni di sangue raccolti negli anni da persone che in seguito si sono ammalate: già in fase asintomatica erano presenti le stesse alterazioni proteiche osservate nei malati diagnosticati. Un dettaglio che conferma la presenza di un processo patologico silente, e che dimostra la possibilità di “giocare d’anticipo” con strumenti adeguati.
Alla Città della Salute sottolineano: “Questa evidenza dimostra che la patologia era già in corso, anche se non ancora manifesta. In futuro potremo intervenire prima del danno irreversibile”.
Dalla scoperta alla speranza di nuove cure
Il valore della scoperta non si limita alla diagnosi precoce: avere la possibilità di identificare i pazienti nella fase iniziale apre la strada a protocolli di cura radicalmente nuovi. Se validato da ulteriori studi clinici, il biomarcatore potrà diventare un test di routine, permettendo ai neurologi di iniziare terapie quando i muscoli e i motoneuroni non hanno ancora subito gravi danni.
“La SLA ha una fase preclinica lunga e silente: quindi potrebbe diventare possibile intervenire prima del danno irreversibile”, ribadisce il professor Chiò. Una prospettiva che alimenta la speranza di allungare la qualità e la durata della vita dei pazienti, un obiettivo che fino a pochi anni fa sembrava irraggiungibile.
Prospettive nella lotta alla SLA
La ricerca dimostra quanto la combinazione tra medicina, tecnologia e collaborazione internazionale possa cambiare il volto delle malattie neurodegenerative. Il biomarcatore scoperto a Torino, con il supporto degli Stati Uniti, potrebbe diventare la base di una nuova era nella neurologia clinica.
Il cammino resta lungo, ma gli esperti concordano: la diagnosi anticipata è il tassello mancante per trasformare la SLA da condanna irreversibile a malattia gestibile nel tempo. Con ulteriori validazioni, questo test potrebbe entrare nella pratica clinica e offrire una nuova speranza a migliaia di famiglie.
