Indice
- 1 Oltre il 40% dei parchi eolici marini in Europa e Asia affronta venti più forti dei limiti di progetto. Il cambiamento climatico minaccia la stessa energia che doveva salvarci
- 2 Quando il vento non conosce limiti
- 3 Le turbine progettate per volare… ma non per sopravvivere
- 4 Quando il clima batte la tecnologia
- 5 Ripensare il vento prima che cambi di nuovo
Oltre il 40% dei parchi eolici marini in Europa e Asia affronta venti più forti dei limiti di progetto. Il cambiamento climatico minaccia la stessa energia che doveva salvarci
Soffia una cattiva aria sull’eolico offshore. Non è solo una battuta: è la realtà che emerge da uno studio appena pubblicato su Nature Communications e guidato dal ricercatore Yanan Zhao, che mette in guardia l’industria delle rinnovabili da un paradosso inquietante. Secondo l’analisi, oltre il 40% dei parchi eolici marini già attivi o in costruzione in Europa e Asia si trova oggi esposto a velocità del vento superiori ai limiti di progetto delle turbine più comuni, quelle di Classe III, progettate per reggere fino a 37,5 metri al secondo. In sostanza, le macchine create per domare il vento stanno iniziando a temerlo.
I ricercatori hanno esaminato decenni di dati sul comportamento dei venti oceanici e il verdetto è chiaro: le raffiche stanno crescendo in intensità e frequenza, spinte da un clima che non riconosce più le vecchie regole. Le turbine, pensate per un mondo stabile, si ritrovano ora a operare in uno scenario meteorologico più simile a una roulette atmosferica. “Le condizioni estreme si stanno intensificando con il riscaldamento globale”, avvertono gli autori, e questo significa che le infrastrutture energetiche che avrebbero dovuto difenderci dal disastro climatico rischiano di diventarne le prime vittime.
Quando il vento non conosce limiti
Per capire quanto sia seria la situazione, il team di Yanan Zhao ha passato in rassegna oltre ottant’anni di dati sul vento, registrati tra il 1940 e il 2023 nei principali bacini oceanici del pianeta. Il risultato? Una mappa globale che mostra come nel 63% delle regioni costiere del mondo le raffiche estreme siano aumentate. Non si tratta di un capriccio del tempo, ma della conseguenza diretta di un sistema atmosferico che, sotto l’effetto del riscaldamento globale, sta cambiando ritmo e direzione. In alcune aree, soprattutto nel Pacifico e nel Nord Atlantico, i venti legati ai cicloni sono diventati più frequenti, più lunghi e più violenti.
E a pagarne il prezzo è proprio l’eolico offshore, che fino a pochi anni fa sembrava la frontiera più sicura della transizione energetica. Oggi invece le pale che ruotano placide nei rendering promozionali devono fare i conti con tempeste reali, non più teoriche. I ricercatori spiegano che “oltre la metà dei parchi eolici situati in Asia e in Europa si trova in zone dove la tendenza dei venti estremi è in aumento”. In altre parole, le fondamenta del futuro energetico si trovano già nel cuore della tempesta.
Le turbine progettate per volare… ma non per sopravvivere
Il problema, spiegano gli autori dello studio, è che una parte crescente delle turbine sta già superando i propri limiti strutturali. I dati raccolti mostrano che oltre il 40% degli impianti eolici offshore esistenti o in fase di costruzione ha registrato episodi di vento oltre i 37,5 m/s, la soglia di sicurezza per le macchine di Classe III. E non si tratta di rare eccezioni: in molte aree del Mare del Nord, del Mar Cinese Orientale e del Mar del Giappone questi picchi si ripetono sempre più spesso. Le turbine, nate per resistere al vento, si ritrovano a danzare sull’orlo del collasso meccanico.
Ogni pala, alta come un grattacielo e del peso di decine di tonnellate, affronta forze immense. Quando le raffiche superano la soglia per cui è stata progettata, ogni rotazione diventa una prova di sopravvivenza. “L’aumento delle velocità estreme non è solo un rischio per l’efficienza, ma anche per la stabilità delle strutture”, si legge nello studio. Se i venti continueranno a crescere con questo ritmo, intere flotte di turbine potrebbero diventare obsolete prima del previsto, costringendo governi e aziende a rivedere piani e costi della transizione energetica.
Quando il clima batte la tecnologia
C’è qualcosa di beffardo nel quadro che emerge. La tecnologia nata per domare il vento rischia di essere sconfitta proprio dal vento. Il cambiamento climatico, che l’energia eolica avrebbe dovuto contribuire a rallentare, sta modificando le regole del gioco. Con l’aumento della temperatura globale, le differenze di pressione atmosferica diventano più marcate, i cicloni si intensificano e la distribuzione dei venti si sposta verso latitudini prima più tranquille. L’eolico offshore, che prosperava in un mare relativamente prevedibile, si ritrova ora in un campo di battaglia atmosferico.
Il paradosso non sfugge agli studiosi: “I cambiamenti nella circolazione atmosferica e nell’attività ciclonica sono già evidenti”, scrivono Zhao e colleghi, e gli effetti si riflettono direttamente sulla progettazione delle infrastrutture. Le turbine non sono eterne: ogni vibrazione, ogni colpo di vento fuori scala accelera l’usura dei materiali e riduce la vita utile delle strutture. E quando le pale cominciano a piegarsi più del previsto, non serve un manuale di ingegneria per capire che qualcosa non sta girando per il verso giusto.
Ripensare il vento prima che cambi di nuovo
L’appello dei ricercatori è chiaro: serve una nuova generazione di turbine eoliche capaci di sopravvivere al clima che stanno contribuendo a salvare. Non basta installare più pale: bisogna ripensarne la progettazione, investire in materiali avanzati, sistemi di controllo dinamico e modelli previsionali che tengano conto dei nuovi venti estremi. La classificazione attuale (Classe I, II, III), pensata per un mondo con regole meteorologiche stabili, oggi appare superata quanto una carta nautica dell’Ottocento in piena era satellitare.
Lo studio di Yanan Zhao e del suo team non lancia un allarme sterile, ma una sfida tecnologica e culturale. Se il cambiamento climatico ha alzato l’asticella, sarà l’ingegneria, e la volontà politica, a doverla raggiungere. Perché alla fine, in questa corsa tra turbine e tempeste, non si tratta solo di produrre energia pulita, ma di capire se siamo ancora in grado di convivere con una natura che non soffia più secondo i nostri piani.
Fonte:
Nature Communications
