Tumore alla prostata resistente, identificata proteina responsabile

Uno studio americano rivela il ruolo della proteina TBX2 nella resistenza ai farmaci: svelato il passaggio chiave che aggira i trattamenti ormonali

Un nuovo studio statunitense ha identificato un meccanismo cruciale che potrebbe spiegare perché alcuni tumori alla prostata diventano resistenti ai farmaci. Il team di ricerca del Texas Tech University Health Sciences Center ha scoperto che una proteina chiamata TBX2, già nota per essere presente in forma elevata nei tumori prostatici avanzati, agisce come un interruttore molecolare, deviando il segnale da un recettore all’altro e permettendo al cancro di continuare a crescere nonostante le terapie.

Pubblicato a dicembre 2024 sulla rivista Oncogene, lo studio mostra come TBX2 sia in grado di spostare l’attività delle cellule tumorali dal recettore degli androgeni (AR) al recettore dei glucocorticoidi (GR). Questo passaggio permette alle cellule di aggirare i trattamenti mirati agli ormoni maschili, come enzalutamide, rendendo il tumore resistente ai farmaci.

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La scoperta: un cambio di rotta che inganna i farmaci

I ricercatori hanno osservato che TBX2 non solo è sovraespressa nei tumori della prostata in fase avanzata, ma che la sua azione è quella di dirottare il sistema di controllo cellulare.
“TBX2 agisce come un interruttore che trasferisce il segnale dall’androgen receptor al glucocorticoid receptor,” ha spiegato Srinivas Nandana, coordinatore dello studio. “Così facendo, permette alle cellule tumorali di sopravvivere alle terapie”.

Il team ha anche identificato un modo per interrompere questo passaggio molecolare, andando a colpire il complesso proteico con cui TBX2 interagisce. In questo modo, si apre la possibilità di bloccare il meccanismo senza agire direttamente sui recettori, riducendo il rischio di effetti collaterali.

Una correlazione costante nei pazienti con carcinoma avanzato

La ricerca ha rivelato anche un altro elemento chiave: nei pazienti con tumore alla prostata resistente alla castrazione (CRPC) e in quelli nella fase iniziale della malattia, si osservano correlazioni costanti tra le attività delle proteine TBX2, AR e GR. Questo suggerisce che già nelle prime fasi della malattia sia possibile identificare i pazienti a rischio di sviluppare forme più aggressive e resistenti ai trattamenti.

“La resistenza ai farmaci anti-androgeni è uno degli ostacoli principali nella cura del carcinoma prostatico avanzato,” ha dichiarato Nandana. “Capire il legame tra TBX2, androgen receptor e glucocorticoid receptor può aiutarci a prevedere l’evoluzione della malattia e personalizzare i trattamenti.”

Verso nuove terapie che mirano al “punto di svolta”

Lo studio non solo apre alla possibilità di diagnosi più precoci, ma suggerisce anche strategie terapeutiche alternative. Puntando sull’interruzione del passaggio da AR a GR, attraverso l’inibizione di TBX2, si potrebbero sviluppare farmaci in grado di ripristinare la sensibilità ai trattamenti ormonali nei pazienti con CRPC.

Questa strada appare particolarmente promettente perché evita di colpire direttamente i recettori glucocorticoidi, una strategia spesso associata a gravi effetti collaterali. “Bloccare TBX2 potrebbe offrire un approccio più sicuro ed efficace,” osserva Nandana.

I prossimi passi della ricerca sul cancro alla prostata

Il gruppo di ricerca ha annunciato che ora lavorerà alla creazione di nuovi modelli sperimentali di CRPC, per studiare in modo più approfondito le altre molecole coinvolte nella transizione da AR a GR.

In parallelo, l’obiettivo è quello di identificare potenziali farmaci in grado di colpire in modo selettivo il meccanismo individuato. “Abbiamo bisogno di nuovi strumenti per contrastare questa malattia,” conclude Nandana, “e questo studio potrebbe segnare un passo avanti decisivo”.

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