Indice
- 1 Non serve più smascherare i falsi: TrueScreen punta a impedirli alla radice, certificando ogni contenuto nel momento stesso in cui nasce
- 2 L’approccio forense applicato al digitale
- 3 Un’arma contro frodi e sciacalli digitali
- 4 La sfida: certificare tutto alla fonte
- 5 Verso un futuro di certificazione obbligatoria
- 6 Un business destinato a crescere
Non serve più smascherare i falsi: TrueScreen punta a impedirli alla radice, certificando ogni contenuto nel momento stesso in cui nasce
La manipolazione dei contenuti digitali non è più un gioco da nerd. Oggi i deepfake e i nuovi modelli di intelligenza artificiale generativa, come il recente Nano Banana, stanno raggiungendo un livello di sofisticazione tale da confondere anche gli esperti. La velocità con cui queste tecnologie si evolvono ha reso le soluzioni di rilevamento tradizionali quasi inutili: bastano pochi mesi per mandarle in pensione. In questo contesto, un’azienda italiana ha scelto di cambiare completamente prospettiva. Si tratta di TrueScreen, realtà che ha deciso di non inseguire più i falsari digitali, ma di bloccarli sul nascere con una strategia radicalmente diversa: certificare i contenuti nel momento stesso in cui vengono creati.
Durante l’evento The Bologna Gathering, il CEO e co-fondatore Fabio Ugolini ha spiegato con chiarezza il cuore del problema. “Il tema vero non è rilevare ciò che è stato manipolato,” ha dichiarato, “il tema vero è garantire che non possa esserlo mai più.” Un cambio di paradigma netto, che sposta il focus dalla lotta reattiva al presidio preventivo. L’idea è semplice ma rivoluzionaria: se un contenuto nasce certificato e garantito, non potrà mai essere manipolato in modo credibile.
L’approccio forense applicato al digitale
La tecnologia di TrueScreen si fonda su protocolli forensi internazionalmente riconosciuti, identici a quelli che utilizzano le forze dell’ordine nella raccolta delle prove digitali. In fase di acquisizione, i dati vengono catturati in un ambiente totalmente isolato e offline, dove – come sottolinea il CEO – “niente entra e niente esce”. Non si tratta solo di analizzare il file finale, ma di certificare l’intero processo, compresa la bonifica del dispositivo utilizzato, così da prevenire manipolazioni su metadati o geolocalizzazioni.
Ugolini, laureato in legge, è consapevole delle implicazioni giuridiche. Sa che “il giudice è libero di accettare o meno una prova”, ma ribadisce che un contenuto certificato da TrueScreen diventa praticamente inattaccabile. A fare la differenza non è solo la robustezza del metodo, ma anche la totale trasparenza del codice, auditabile e deterministico. In altre parole, nulla è lasciato al caso.
Un’arma contro frodi e sciacalli digitali
La forza del modello TrueScreen è la sua integrazione diretta nei processi aziendali. Non un tool da scaricare, ma una tecnologia che entra nei sistemi di chi deve gestire dati critici. Gli ambiti principali? Assicurazioni, banche, edilizia. Settori dove la certezza dell’informazione è vitale.
La prova è arrivata durante l’emergenza post-alluvione in Romagna. La Camera di Commercio ha adottato la soluzione per guidare cittadini e imprese nella rendicontazione certificata dei danni. Così ha ridotto drasticamente il margine di frodi e contrastato gli “sciacalli” pronti ad approfittarne. Una dimostrazione pratica di come la certificazione preventiva possa proteggere non solo dati digitali, ma anche comunità reali in situazioni di crisi.
La sfida: certificare tutto alla fonte
La filosofia dell’azienda si basa su una convinzione precisa: nessuna IA sarà mai in grado di correre dietro a un’altra IA. “Non esisterà nessuna IA in grado di rincorrere IA”, afferma senza esitazioni Ugolini. Per questo TrueScreen non lavora sull’inseguimento, ma sull’origine. Ogni contenuto, nel momento stesso della creazione, deve essere blindato e certificato. Solo così si può garantire autenticità e valore probatorio.
In questo senso, il dibattito sul watermarking legislativo, come nella proposta Carfagna, appare riduttivo. Per Ugolini un semplice marchio digitale non basta: il problema è troppo complesso per soluzioni cosmetiche. Serve un’infrastruttura robusta, certificata e impossibile da aggirare.
Verso un futuro di certificazione obbligatoria
L’obiettivo strategico di TrueScreen è diventare l’infrastruttura invisibile ma imprescindibile della certificazione digitale. Non un marchio da mostrare al consumatore, ma un sistema che opera dietro le quinte, standardizzato e obbligatorio. “Noi vogliamo essere quella cosa che non vedi, ma sotto…”, spiega il CEO.
Un posizionamento rafforzato dall’adesione alla ISO 2700037, dagli oltre brevetti e licenze detenuti e dalla scelta dell’associazione nazionale degli investigatori privati di adottare la piattaforma come strumento ufficiale. In questo modo si garantisce la catena del valore probatorio, con uno standard che trasforma ogni contenuto certificato in prova autentica.
Un business destinato a crescere
TrueScreen punta a superare in tempi rapidi un milione di euro di ricavi ricorrenti, concentrandosi sul mercato enterprise. Qui il controllo della filiera è cruciale e la certificazione digitale non è un optional. Le grandi Certification Authority stanno già trattando con l’azienda, consapevoli che presto non ci sarà alternativa all’integrazione con la sua tecnologia.
“Io mi immagino un futuro dove questa roba sarà obbligatoria,” conclude Ugolini, delineando un mondo in cui la certificazione forense digitale sarà lo standard e non l’eccezione. Un futuro dove la fiducia non sarà più una scommessa, ma una garanzia tecnica verificabile.
