La Cina scarica i bond USA: tesoro in frantumi e oro in crescita

Dopo 17 anni Pechino tocca il minimo storico nelle riserve di Treasury americani: e ora guarda all’Europa, all’oro e persino al franco svizzero

La Cina ha ridotto le sue riserve di Treasury americani a un livello che non si vedeva dal 2009, scendendo a 730,7 miliardi di dollari a luglio. Una cifra che rappresenta un calo di 25,7 miliardi rispetto a giugno e un vero crollo se si considera il picco del 2013, quando Pechino deteneva ben 1,32 trilioni di dollari. In appena dieci anni la potenza asiatica ha ridotto la sua esposizione del 45%, segnando una scelta strategica che non passa inosservata ai mercati. Non si tratta solo di numeri, ma di un chiaro segnale politico ed economico. Il messaggio è inequivocabile: Pechino non si fida più come un tempo del dollaro americano, preferendo diversificare le sue riserve in direzioni ritenute più sicure e meno “manipolabili” dalle tensioni geopolitiche.

Gli analisti sottolineano come la decisione non sia frutto di improvvisazione. Si tratta di un percorso avviato da anni, accelerato dal timore che il dollaro possa diventare un’arma geopolitica più che una semplice valuta di riserva. Una preoccupazione che cresce di pari passo con le tensioni tra Washington e Pechino. In questo scenario, il taglio massiccio dei Treasury non è solo una questione di rendimenti, ma un atto di difesa economica e diplomatica.

Europa e oro: i nuovi rifugi di Pechino

Secondo Ding Shuang, capo economista per la Grande Cina di Standard Chartered, non è ancora chiaro come la Banca Popolare Cinese stia riallocando le sue riserve, ma un trend è evidente: gli investitori internazionali, compresa la Cina, si stanno spostando progressivamente dagli asset in dollari a quelli denominati in euro. “Guardando avanti, la profondità e l’ampiezza del mercato obbligazionario europeo continueranno ad aumentare, offrendo una valida alternativa alla PBOC”, ha dichiarato l’economista.

Questa lettura è confermata anche da Alicia Garcia-Herrero, capo economista per l’Asia-Pacifico di Natixis, che vede nella diversificazione valutaria un tassello centrale della strategia di Pechino. “La Cina potrebbe aumentare le sue riserve in euro, data la crescita delle esportazioni verso l’Europa, ma anche in altre valute come la sterlina e il franco svizzero”, ha sottolineato l’esperta. L’oro, rifugio tradizionale nei periodi di incertezza, appare anch’esso in forte crescita nel portafoglio cinese, segnalando una corsa verso beni percepiti come meno vulnerabili alle mosse politiche degli Stati Uniti.

Il declino dei Treasury: un segnale geopolitico

La riduzione dei Treasury non è solo un dato tecnico ma un chiaro segnale geopolitico. La Cina teme la “weaponisation” del dollaro, cioè l’uso della valuta come arma nelle dispute internazionali. Questo scenario non è frutto di fantasia: le sanzioni finanziarie contro la Russia e il blocco di asset denominati in dollari hanno mostrato come la moneta americana possa diventare strumento di pressione. Per Pechino, quindi, ridurre l’esposizione significa proteggersi da possibili futuri congelamenti o restrizioni.

Il dato di luglio, comunicato dal Tesoro statunitense, rappresenta così un campanello d’allarme non solo per Washington ma anche per l’intero sistema economico globale. Se la seconda economia mondiale decide di ridimensionare in modo strutturale la sua fiducia nel dollaro, le conseguenze potrebbero incidere su tassi di interesse, flussi di capitale e persino sulla percezione della solidità del debito USA.

Debito americano e timori di instabilità

La questione si inserisce in un contesto già complicato per gli Stati Uniti. Il debito pubblico americano cresce senza freni, alimentando i dubbi sulla sua sostenibilità di lungo periodo. Per anni, la certezza era che la domanda di Treasury non sarebbe mai mancata. Oggi, invece, uno dei principali creditori storici si sta ritirando, lasciando spazio a scenari di volatilità.

Da un lato, Washington cerca di rassicurare i mercati, sottolineando la solidità dell’economia americana. Dall’altro, le mosse di Pechino mostrano che la fiducia non è più scontata. Se a ciò si aggiunge il crescente ricorso al dollaro come strumento di pressione diplomatica, si comprende perché la Cina scelga di diversificare. Non è solo un calcolo finanziario, ma un cambio di paradigma.

Verso un nuovo equilibrio globale?

Il disimpegno cinese dai Treasury non significa un abbandono totale del dollaro, ma un riequilibrio strategico. L’Europa, con il suo mercato obbligazionario in espansione, e l’oro, con il suo fascino eterno di bene rifugio, diventano i nuovi poli di attrazione. In mezzo restano le valute “minori” ma solide come la sterlina e il franco svizzero.

Quello che emerge è la costruzione di un nuovo equilibrio, dove il dollaro potrebbe non essere più l’unico sovrano. La Cina, riducendo progressivamente il suo legame con i Treasury, manda un messaggio forte: il futuro della finanza mondiale sarà più multipolare. E per gli Stati Uniti, abituati a un ruolo dominante, questa è forse la sfida più grande.

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