Acqua potabile dall’aria del deserto, rivoluzione dal MIT

Il pluriball nero funziona senza energia e produce acqua anche nella Death Valley: la tecnologia che potrebbe cambiare il destino di milioni di persone

In uno dei luoghi più aridi e inospitali del pianeta, la Death Valley, un innovativo dispositivo passivo è riuscito in un’impresa straordinaria: estrarre acqua potabile dall’aria, anche quando l’umidità è inferiore al 10%. A renderlo possibile è un materiale del tutto nuovo, somigliante a un pluriball nero, ma con caratteristiche uniche. Si tratta di un idrogel punteggiato da cupole, in grado di assorbire l’umidità atmosferica, anche quella rarissima dei deserti, e trasformarla in acqua liquida senza l’ausilio di batterie o pannelli solari. Questo esperimento, frutto della collaborazione tra il MIT e altri istituti di ricerca di Marocco, Cina e Singapore, segna un possibile punto di svolta per le comunità prive di accesso all’acqua sicura. In futuro, questa tecnologia potrebbe contribuire a risolvere parte della crisi idrica globale, fornendo acqua là dove oggi è impossibile ottenerla. Il progetto prende vita da una domanda urgente: come sfruttare una risorsa sottovalutata come l’umidità atmosferica per rispondere a un bisogno universale?

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Un progetto globale contro la crisi idrica

A coordinare il team è Xuanhe Zhao, professore di Ingegneria Meccanica e Civile al MIT, che ha posto le basi per una tecnologia accessibile e sostenibile. Il gruppo ha sviluppato un sistema autonomo in grado di catturare e condensare l’umidità anche in condizioni estreme, puntando su materiali facilmente reperibili.

Il dispositivo, chiamato Atmospheric Water Harvesting Window (AWHW), si presenta come una finestra verticale composta da due pannelli di vetro. Il pannello esterno è rivestito con un film polimerico che favorisce il raffreddamento, mentre l’interno ospita l’idrogel con le cupole nere. Durante la notte, quando l’umidità è maggiore, le cupole assorbono il vapore acqueo. Con il calore del giorno, l’acqua evapora e si condensa sulla superficie del vetro, da cui scivola in un contenitore alla base.

Il ciclo si ripete ogni giorno, generando acqua senza bisogno di energia esterna. Questo principio semplice ma geniale si basa solo sulla condensazione naturale e sulla gravità. La chiave del successo sta nella composizione chimica dell’idrogel: un mix di alcol polivinilico (PVA), glicerolo e cloruro di litio, che garantisce il mantenimento della struttura e l’estrazione di acqua con una salinità minima.

Come funziona il pluriball che raccoglie l’umidità

L’elemento centrale della finestra AWHW è il pluriball nero composto da idrogel con piccole bolle in rilievo. Durante l’assorbimento notturno, queste si gonfiano, aumentando la superficie disponibile per la raccolta dell’umidità. Con la luce solare, le cupole si contraggono come se fossero origami viventi, rilasciando acqua che si condensa sui pannelli.
Una volta raccolta, l’acqua scorre verso il basso grazie alla forza di gravità, attraversando canali di drenaggio integrati nella struttura. Il sistema non richiede manutenzione complessa, né fonti energetiche per funzionare: basta l’alternanza tra giorno e notte.

Oltre alla semplicità, è fondamentale la qualità dell’acqua prodotta. Il glicerolo impedisce al cloruro di litio, il sale che trattiene l’umidità, di mescolarsi al vapore acqueo, rendendo il liquido raccolto più sicuro rispetto ad altri metodi passivi o attivi. Questo lo rende adatto all’utilizzo domestico in aree remote o in situazioni di emergenza, dove non è possibile installare infrastrutture complesse.

I risultati della sperimentazione nella Death Valley

Il test condotto nella Death Valley ha dimostrato l’efficacia del sistema. Un modulo di un metro ha prodotto fino a 160 millilitri d’acqua al giorno, una quantità modesta ma significativa per una prova di concetto. I ricercatori sono convinti che, con una maggiore superficie o con sistemi modulari, si possa raggiungere una produzione sufficiente per l’uso quotidiano di una famiglia.

Il professor Zhao ha dichiarato: “Abbiamo costruito un dispositivo su scala di un metro, che speriamo di implementare in regioni con risorse limitate, dove persino una cella solare non è facilmente accessibile”. In effetti, il vantaggio principale di questo sistema è l’estrema adattabilità, che lo rende replicabile anche dove mancano risorse energetiche o materiali avanzati.

Il team intende ora ampliare il progetto, sia in termini dimensionali sia nella forma. La possibilità di integrare più moduli paralleli, come pannelli solari ma senza bisogno di energia, apre prospettive interessanti per lo sviluppo su larga scala, anche in contesti urbani o nei campi profughi.

L’umidità come risorsa

L’idea di estrarre acqua dall’aria non è nuova, ma fino ad oggi i dispositivi esistenti hanno richiesto energia elettrica o solare. La vera svolta di questo progetto è l’autonomia totale e la possibilità di funzionare anche in ambienti estremi.

Altri ricercatori, come un gruppo australiano, hanno di recente sviluppato una tazza hi-tech capace di catturare umidità rarefatta grazie a filtri avanzati, segno che il settore è in forte evoluzione. Tuttavia, il sistema ideato dal MIT ha il vantaggio di essere scalabile, semplice e sostenibile, elementi chiave per la sua diffusione globale.
I dettagli dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Nature Water con il titolo “A metre-scale vertical origami hydrogel panel for atmospheric water harvesting in Death Valley”.

Foto:
Window-sized device taps the air for safe drinking water | MIT News | Massachusetts Institute of Technology

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