Sviluppato in Giappone un utero artificiale funzionante

Si tratta di un biobag trasparente, flessibile e sigillata, riempita di un liquido che imita perfettamente il liquido amniotico

Un team di ricerca dell’Università Juntendo di Tokyo, guidato dal professor Yoshinori Kuwabara, ha compiuto un passo decisivo nello sviluppo dell’ectogenesi: la crescita di embrioni completamente al di fuori dell’organismo materno. Utilizzando un sistema sperimentale chiamato biobag, i ricercatori sono riusciti a far sviluppare embrioni di capra in un ambiente sterile, pieno di liquido amniotico sintetico, e collegati a una placenta artificiale tramite il cordone ombelicale.

Questo sistema riproduce fedelmente l’ambiente uterino, consentendo lo scambio di ossigeno e nutrienti, e la rimozione dei rifiuti metabolici. Gli embrioni sono rimasti in questo ambiente per diverse settimane, raggiungendo stadi avanzati di sviluppo fetale senza bisogno dell’intervento diretto del corpo materno. Si tratta di un esperimento che va oltre l’assistenza neonatale: qui la gestazione avviene completamente fuori dall’utero sin dalle fasi iniziali.

“Questo non è un incubatore. È un utero artificiale capace di riprodurre le condizioni fisiologiche della gestazione naturale”, ha dichiarato Kuwabara in un’intervista ai media giapponesi.

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Come funziona il biobag: tecnologia e struttura

Un ambiente artificiale che imita l’utero umano

Il biobag è una sacca trasparente, flessibile e sigillata, riempita di un liquido che imita perfettamente il liquido amniotico. La temperatura interna viene mantenuta costante, così come i livelli di ossigeno e pressione. Il feto è collegato a un sistema extracorporeo che simula una placenta artificiale, fornendo ossigeno e sostanze nutritive tramite un circuito ECMO modificato.

Il cordone ombelicale non viene tagliato, ma è collegato a un apparato in grado di regolare automaticamente il flusso sanguigno, la pressione e il pH. Il sistema integra sensori che monitorano in tempo reale parametri vitali come battito cardiaco, movimento fetale, saturazione e crescita. Le scorie metaboliche vengono eliminate grazie a un sistema di dialisi automatizzata.

Dalle prime sperimentazioni al risultato attuale

La base scientifica di questo progetto risale agli anni ’90, quando lo stesso Kuwabara aveva condotto uno studio pionieristico su embrioni di capra, riuscendo a mantenerli in vita per circa tre settimane grazie a un sistema chiamato EUFI (Extra-Uterine Fetal Incubation). All’epoca, i limiti tecnici non permettevano lo sviluppo completo.

Il sistema attuale rappresenta un’evoluzione sostanziale: nuovi materiali, sensori intelligenti e una migliore comprensione delle dinamiche placentari hanno permesso una simulazione estremamente precisa dell’utero. Il risultato? Una crescita embrionale stabile e continuativa, che si avvicina a quella naturale.

Usi clinici possibili e tempistiche realistiche

Il primo impiego sarà per i neonati prematuri

L’obiettivo più immediato della tecnologia non è ancora la gestazione umana completa, ma il supporto ai neonati estremamente prematuri, quelli nati prima della 26ª settimana. Per questi bambini, i polmoni e altri organi non sono ancora sufficientemente sviluppati per sopravvivere in un’incubatrice tradizionale.

“Il nostro sistema potrebbe colmare quel divario vitale tra l’utero materno e l’unità di terapia intensiva neonatale”, ha dichiarato Kuwabara. Alcuni esperti stimano che un’applicazione clinica per neonati prematuri potrebbe diventare realtà tra 10 e 15 anni.

In parallelo, è in corso lo studio delle risposte immunitarie, dei fattori ormonali e delle interazioni epigenetiche, con lo scopo di estendere la durata della gestazione artificiale fino alla completa maturazione fetale. Tuttavia, la gestazione umana interamente extracorporea resta una frontiera ancora lontana.

Implicazioni bioetiche e dilemmi sociali

Dove finisce la scienza e dove inizia la società?

Questa rivoluzione tecnologica apre enormi quesiti. Il più ovvio riguarda il diritto alla nascita: in che misura una vita creata e cresciuta interamente in un laboratorio è uguale a quella cresciuta in un corpo umano? Quali sono i diritti del nascituro in un utero artificiale?

Un altro nodo riguarda il consenso informato: chi decide l’uso di un utero artificiale per un embrione? La madre genetica? Lo Stato? Un ente terzo? Le ripercussioni toccano anche la genitorialità maschile e femminile, ridefinendo i ruoli biologici e sociali.

Infine, il rischio di disuguaglianza. Una tecnologia di questo tipo potrebbe diventare disponibile solo per chi ha risorse economiche elevate, aprendo la strada a una selezione sociale delle nascite. Come ha scritto Nature, “la gestazione artificiale non può essere solo un privilegio, altrimenti trasforma la nascita in un prodotto di lusso”.

Progetti paralleli e futuro della ricerca

L’ectogenesi è già in fase sperimentale in altri paesi

Il laboratorio giapponese non è l’unico a esplorare questa frontiera. Il Children’s Hospital of Philadelphia ha testato un sistema simile su agnelli prematuri, mentre un team olandese sta sviluppando un prototipo con interfacce robotiche intelligenti per regolare il microambiente fetale.

Nel prossimo decennio, la ricerca si concentrerà su:

  • prolungamento della durata gestazionale;
  • miglioramento dei materiali biocompatibili;
  • ottimizzazione della gestione ormonale;
  • minimizzazione dei rischi infettivi e immunitari;
  • sviluppo di un quadro normativo internazionale condiviso.

Tutto ciò richiederà una collaborazione multidisciplinare tra biologi, ingegneri, medici neonatologi, giuristi ed eticisti.

Una gestazione “fuori dal corpo”: utopia o realtà?

Il sogno di un utero artificiale umano ha acceso l’immaginazione di scienziati e filosofi per decenni. Oggi siamo più vicini che mai. Ma la scienza da sola non basta: serve una riflessione collettiva. La tecnologia ci offre la possibilità di dare vita fuori dal corpo, ma non può dirci come usarla in modo giusto.

La vera sfida è ora culturale, giuridica, sociale. Se sapremo governarla, questa scoperta potrebbe diventare una delle più importanti rivoluzioni mediche del secolo. Se invece sarà lasciata alle logiche di mercato, potrebbe dividere il mondo in chi può “scegliere” la vita e chi no.

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