Mega depositi di torio nei deserti della Mongolia

Stime record e un percorso industriale che punta ai reattori a sali fusi. Fra entusiasmo e realtà dei fatti, ecco cosa sappiamo davvero

La corsa all’energia del futuro non si gioca solo tra pannelli solari e pale eoliche. In Cina si guarda sotto terra, nel cuore della Mongolia Interna, dove recenti indagini hanno segnalato la presenza di enormi quantità di torio. Non un combustibile qualsiasi, ma un candidato che, nei reattori a sali fusi, promette sicurezza, stabilità e scorie ridotte. Una scoperta che molti descrivono come “un’energia per millenni”, anche se la realtà resta più complessa.

Secondo i dati diffusi dall’Indagine Geologica Cinese, le nuove rilevazioni parlano di oltre un milione di tonnellate di torio potenziale. Una cifra che impressiona, ma che richiede alcune precisazioni. Non si tratta di un giacimento pronto all’estrazione industriale: le quantità dichiarate rappresentano stime preliminari, non riserve economicamente estraibili con le tecnologie odierne. La notizia resta comunque significativa perché colloca la Cina in una posizione di avanguardia, sia sul piano della ricerca geologica sia nella sperimentazione di nuove tecnologie nucleari.

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Tra mito dell’abbondanza e limiti concreti

Quando si parla di torio, il paragone con l’uranio è inevitabile. L’uranio alimenta i reattori di oggi, ma produce scorie di lunga durata e pone rischi elevati in caso di incidenti. Il torio, invece, viene dipinto come più abbondante, più sicuro e con meno scorie. È un’immagine che fa presa, soprattutto in un momento in cui il mondo cerca soluzioni energetiche a basse emissioni.

Ma bisogna distinguere tra possibilità e realtà. Le stime geologiche forniscono un’indicazione di potenziale, non la certezza di una riserva sfruttabile. La produzione di energia da torio richiede infatti un ciclo complesso: il minerale di per sé non è fissile, deve trasformarsi in uranio-233 tramite assorbimento neutronico. Solo dopo questa conversione diventa combustibile. Senza la tecnologia industriale adatta, il torio resta una promessa incompiuta.

Come funziona un reattore a sali fusi

Il cuore della sfida è il reattore a sali fusi (MSR). A differenza dei reattori convenzionali, non utilizza combustibile solido in barre ma una miscela liquida di sali che funge da mezzo refrigerante e, in alcune configurazioni, da combustibile stesso. Nel caso del torio, il ciclo prevede che il Th-232 assorba neutroni e diventi U-233, che poi alimenta la fissione.

Questa tecnologia presenta diversi vantaggi teorici. I sali operano a temperature elevate ma a bassa pressione, riducendo il rischio di esplosioni. Il sistema ha intrinseci meccanismi di stabilità: se la temperatura sale troppo, la reazione tende a rallentare. Inoltre, in caso di emergenza, il combustibile liquido può essere fatto defluire per gravità in serbatoi di sicurezza. Non meno importante, il ciclo genera meno attinidi a lunga vita, ossia quelle scorie che restano radioattive per millenni.

Eppure i problemi restano: i sali sono altamente corrosivi, i materiali devono resistere per decenni a condizioni estreme, e la gestione dei sottoprodotti di fissione, come il trizio, non è banale. Non basta l’idea, serve dimostrarne la fattibilità a lungo termine.

Prototipo e pilota: i passi concreti della Cina

La Cina non si è limitata a mappare i giacimenti. Negli ultimi anni ha inaugurato una vera e propria roadmap tecnologica.

Il prototipo. Nel 2023 è entrato in funzione un reattore sperimentale da 2 MW termici. Ha raggiunto la criticità e operato a piena potenza, segnando un primo passo storico. L’obiettivo era verificare materiali, processi chimici e gestione del combustibile.

Il pilota. Parallelamente, Pechino ha annunciato la costruzione di un impianto pilota da 60 MW termici (circa 10 MW elettrici). La tabella di marcia prevede l’avvio dei lavori nel 2025 e il completamento entro il 2029-2030. In questa fase si misureranno davvero affidabilità, continuità operativa e capacità di integrazione nella rete elettrica.

Il significato. La transizione da prototipo a pilota è cruciale: solo allora si potrà stabilire se il torio è competitivo rispetto ai reattori convenzionali. In gioco ci sono non solo questioni tecniche, ma anche regolatorie e industriali: licenze, costi di manutenzione, filiere produttive di sali speciali come il litio-7.

Benefici e nodi ancora irrisolti

I sostenitori parlano di energia più pulita e sicura, di possibilità di usare i reattori modulari in zone remote e di sfruttare il calore ad alta temperatura per produrre idrogeno. Ma restano molti interrogativi. I materiali resistono abbastanza? La gestione dei rifiuti è davvero più semplice? Quanto costerà l’intero ciclo del combustibile?

A queste domande non ci sono ancora risposte definitive. È certo che il torio riduce alcune criticità tipiche dell’uranio, ma non elimina il problema delle scorie. Allo stesso tempo, la promessa di un’energia “praticamente illimitata” va ridimensionata: la geologia offre la materia prima, ma l’industria deve ancora dimostrare di poterla sfruttare.

Prospettive future: opportunità e cautela

La Cina, forte della sua capacità di pianificazione, potrebbe diventare il primo Paese a portare un reattore al torio in fase dimostrativa entro il prossimo decennio. Se i risultati saranno positivi, il passo successivo sarà la scalabilità verso impianti di taglia maggiore.

Tuttavia, gli scenari più realistici parlano di una presenza del torio solo in settori specifici, come i reattori modulari o gli impianti per la produzione di calore industriale. L’uranio resterà a lungo il pilastro del nucleare, per ragioni di infrastruttura e maturità tecnologica.

Tre fattori decideranno le sorti del torio: la performance del pilota, la sostenibilità economica del ciclo e il quadro regolatorio. Solo se questi elementi si allineeranno, il torio potrà davvero sfidare il dominio dell’uranio. Fino ad allora, resterà una tecnologia promettente, ma ancora tutta da costruire.

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