Anche Poste Italiane ha deciso di allinearsi agli altri provider: il servizio avrà un costo annuale
Poste Italiane si prepara a dire addio allo SPID gratuito, il sistema pubblico di identità digitale che da anni consente agli italiani di accedere ai portali della Pubblica Amministrazione e ai servizi online. La decisione, che coinvolgerà oltre 16 milioni di utenti, segna un cambio storico per l’azienda e per l’intero ecosistema digitale italiano. Dopo aver garantito per anni un accesso libero, Poste si allinea ai provider privati – come Aruba e InfoCert – che già applicano tariffe per la gestione dell’identità elettronica. Il motivo? Sostenibilità economica. I costi di manutenzione, sicurezza e assistenza sono diventati insostenibili. Da mesi si parlava di una svolta, e ora la transizione appare imminente: lo SPID, nato come strumento per semplificare la burocrazia, si avvia a diventare un servizio in abbonamento.
Quanto costerà davvero l’identità digitale
Le ipotesi più accreditate parlano di abbonamenti annuali o biennali, con tariffe comprese tra 10 e 20 euro all’anno. Una cifra che potrebbe sembrare minima, ma che per milioni di utenti rappresenta un cambio di paradigma. Finora lo SPID è stato sinonimo di accesso universale e gratuito; da domani potrebbe diventare una spesa obbligata per richiedere documenti, bonus o prestazioni sanitarie.
Poste non ha ancora comunicato date ufficiali, ma fonti vicine al dossier parlano di un’introduzione progressiva nel corso del 2026. Gli utenti già attivi potranno probabilmente mantenere il servizio gratis per un periodo di transizione, prima di ricevere la comunicazione sulle nuove condizioni economiche. Chi invece richiederà lo SPID ex novo dovrà scegliere fin da subito se sottoscrivere un piano o rivolgersi a un altro gestore.
Le ragioni ufficiali della svolta
Dietro la decisione, Poste parla di sostenibilità e sicurezza. Gestire milioni di identità digitali comporta costi elevati: server, aggiornamenti, verifiche, assistenza e protocolli informatici avanzati. Per anni l’azienda ha coperto queste spese nell’ambito della sua missione di servizio universale, ma la crescita degli utenti e l’evoluzione delle regole europee in materia di sicurezza informatica hanno cambiato lo scenario.
Secondo fonti interne, «il modello gratuito non è più sostenibile: garantire la protezione dei dati e la continuità del servizio richiede risorse costanti». Tuttavia, questa giustificazione non basta a placare le critiche: molti osservatori sostengono che far pagare lo SPID equivale a monetizzare un diritto di cittadinanza digitale, trasformando un dovere dello Stato in un costo per il cittadino.
Il rischio di una nuova disuguaglianza digitale
La mossa di Poste apre una questione di fondo: chi non potrà o non vorrà pagare, sarà escluso? Lo SPID è nato per eliminare barriere, non per crearne di nuove. Eppure, se tutti i provider adotteranno tariffe simili, l’identità digitale rischia di diventare un privilegio. Un paradosso per un sistema che doveva garantire l’accesso a tutti i servizi pubblici con un solo clic.
Gli esperti parlano già di “nuovo digital divide”: la frattura tra chi può permettersi di restare connesso e chi rischia di essere tagliato fuori. Se il governo non interverrà, milioni di cittadini potrebbero trovarsi a pagare per rinnovare un documento digitale necessario anche solo per consultare il proprio fascicolo sanitario.
Il ruolo del governo e il futuro dell’IT Wallet
Il Ministero dell’Innovazione osserva con cautela. Il progetto dell’IT Wallet europeo, previsto per il 2026, mira a unificare SPID e Carta d’Identità Elettronica in un’unica app gratuita, gestita direttamente dallo Stato. Ma la transizione sarà graduale. Finché il nuovo portafoglio digitale non sarà pienamente operativo, i cittadini continueranno a dipendere dai provider privati come Poste.
Un eventuale anticipo delle tariffe rischierebbe di creare un vuoto normativo: pagare per l’identità digitale quando presto ne arriverà una pubblica e gratuita sarebbe un controsenso. Non a caso, da più parti si invoca un intervento dell’AGID o del MIMIT per garantire almeno una versione base gratuita, in modo da non compromettere l’accesso ai servizi fondamentali.
Un simbolo del nuovo costo della digitalizzazione
La fine dello SPID gratuito è più di una questione amministrativa: è un segnale politico e culturale. Per anni la digitalizzazione è stata presentata come sinonimo di semplificazione e risparmio. Ora, invece, arriva il primo conto. L’Italia è passata dal dire “tutti online” al dire “pagate per esserci”.
Se la tecnologia doveva liberare i cittadini dalla burocrazia, oggi sembra farli entrare in un abbonamento permanente alla modernità. L’identità digitale, promessa di uguaglianza, rischia di diventare un lusso da mantenere. E mentre Poste prepara le nuove tariffe, resta aperta una domanda che pesa più di ogni canone: chi deciderà quanto vale davvero essere cittadini digitali?
