Venere, la molecola di Pna resiste dove la vita sembrava impossibile

Un polimero simile al Dna ha dimostrato di sopravvivere in acido solforico concentrato: uno studio apre nuove ipotesi sulla vita tra le nubi di Venere

Venere, considerato il gemello infernale della Terra, è un ambiente inospitale, con temperature superficiali che scioglierebbero il piombo e una pressione capace di schiacciare ogni strumento umano. Come se non bastasse, l’atmosfera è carica di nubi di acido solforico concentrato, una delle sostanze più corrosive in natura. Eppure, la possibilità che qualche forma di vita alternativa possa esistere tra quelle nubi non ha mai smesso di affascinare gli scienziati. Un nuovo studio pubblicato su Science Advances e condotto da un team della Wrocław University of Science and Technology, guidato da Janusz J. Petkowski, dimostra che una molecola sintetica chiamata acido peptido nucleico (Pna) potrebbe sopravvivere in condizioni simili a quelle dell’atmosfera venusiana. Si tratta di un analogo del Dna, già noto in campo biomedico e astrobiologico, capace di interagire specificamente con acidi nucleici come Rna e Dna. I ricercatori lo hanno testato in acido solforico al 98%, scoprendo che può resistere per almeno due settimane a temperatura ambiente, con una degradazione limitata.

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Vita tra le nubi acide: due ipotesi e due precedenti studi

Lo studio nasce da due intuizioni fondamentali. Da un lato, la complessità molecolare è ritenuta una caratteristica imprescindibile della vita, che si affida a polimeri stabili per mantenere le sue funzioni. Dall’altro, l’ambiente di Venere, pur essendo estremo, presenta fasce atmosferiche – tra i 48 e i 60 km di altitudine – in cui temperatura e pressione ricordano quelle terrestri. Se è lì che potrebbero annidarsi tracce di vita, allora trovare molecole stabili in quel contesto è fondamentale.
Due scoperte precedenti hanno alimentato questa ipotesi: la rilevazione controversa della fosfina, un gas prodotto da microbi anaerobi sulla Terra, e la presenza di ammoniaca, entrambe considerate biomarcatori. Su questa base, il team ha scelto di testare la molecola di Pna in acido solforico concentrato, simulando le condizioni delle nubi venusiane.

Le sorprendenti proprietà del Pna in acido solforico

Il Pna utilizzato è stato composto da quattro filamenti singoli, ognuno formato da sei unità identiche (esameri) di basi azotate: adenina, guanina, citosina e timina. Immerse in acido solforico al 98%, le molecole hanno mostrato una resistenza sorprendente: tutti gli esameri hanno mantenuto la propria struttura con una degradazione inferiore al 28,6% per almeno 14 giorni a temperatura ambiente, come precisano i ricercatori.
«Si crede che l’acido solforico distrugga ogni molecola organica, ma non è del tutto vero», ha spiegato Petkowski. «Abbiamo già osservato che alcune sostanze biologiche, come le basi azotate e certi amminoacidi, resistono. Il nostro studio dimostra che il Pna è stabile in acido solforico a temperatura ambiente».

I limiti della stabilità e il passo successivo

Tuttavia, questa stabilità ha un limite: dopo 24 ore a 80 °C, tutti i filamenti si sono degradati completamente. Perciò, il prossimo obiettivo sarà progettare un polimero ancora più resistente, capace di restare stabile in acido solforico alle temperature delle nubi di Venere, tra 0 e 100 °C.
Questa molecola non esiste in natura, ma molti scienziati la considerano un possibile precursore delle prime macromolecole biologiche terrestri. Se il Pna può resistere in simili condizioni, allora è legittimo chiedersi se forme di vita completamente diverse da quelle basate sull’acqua possano esistere in ambienti dove il solvente primario è l’acido solforico.

Un tassello in più per comprendere la vita nell’universo

«Scoprire che il Pna possa resistere per ore in acido solforico concentrato è sorprendente», osserva il team. «Questo ci aiuta a esplorare dove e come la vita potrebbe esistere al di fuori della Terra». I risultati spingono a considerare l’acido solforico come un possibile solvente alternativo alla base della vita in altri mondi.
Secondo i ricercatori, «è un passo cruciale nell’identificazione di un polimero genetico che sia stabile in ambienti acidi, sia su Venere che su esopianeti con condizioni simili». In definitiva, il lavoro apre la strada allo studio della chimica organica in ambienti extraterrestri estremi, ribadendo che l’abitabilità non deve più essere intesa solo in termini terrestri.

Fonte:
Science Advances

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