Indice
- 1 Mentre l’intelligenza artificiale divora energia come un mostro digitale, Microsoft, Google e Amazon guardano al vecchio nucleare per alimentare i propri data center
- 2 I nuovi reattori “mini”: piccoli, costosi e ancora sulla carta
- 3 L’IA corre più veloce del nucleare
- 4 Paure atomiche e cittadini in rivolta
- 5 Il problema eterno delle scorie
- 6 L’ironia del futuro
Mentre l’intelligenza artificiale divora energia come un mostro digitale, Microsoft, Google e Amazon guardano al vecchio nucleare per alimentare i propri data center
È la nuova corsa all’atomo, ma non per salvare il pianeta. Le Big Tech vogliono salvare se stesse. L’Intelligenza Artificiale, la creatura che promette di cambiare il mondo, ha un piccolo difetto: consuma elettricità come se non ci fosse un domani. I colossi del web, da Microsoft ad Amazon fino a Google, stanno così rispolverando una parola che sembrava sepolta dal tempo: nucleare.
Negli Stati Uniti, la centrale di Three Mile Island, simbolo del più grave incidente nucleare americano (1979), è tornata alla ribalta per un motivo impensabile. Microsoft ha firmato un accordo per acquistare energia proprio da lì, dal reattore superstite ancora attivo. Una mossa che molti leggono come un segnale chiaro: l’IA ha fame e il pianeta non basta più.
Dietro la narrativa della “sostenibilità tecnologica”, si nasconde un problema di fondo: i data center dell’IA non si nutrono di vento o sole, ma di potenza continua e stabile, quella che solo il nucleare può garantire. E così, mentre il mondo discute di energie rinnovabili, i giganti digitali si uniscono alla World Nuclear Association, la lobby globale dell’atomo con sede a Londra.
I nuovi reattori “mini”: piccoli, costosi e ancora sulla carta
Non c’è solo Microsoft. Anche Amazon e Google stanno investendo, ma su tecnologie più moderne: i reattori modulari di piccole dimensioni (SMR). Sono più compatti, teoricamente più sicuri e più economici da costruire. In teoria, appunto. Oggi ne esistono appena due operativi, in Cina e Russia, e la loro produzione energetica è paragonabile a quella di una piccola città. Un risultato lontanissimo dalle necessità dei mega-data center che ospitano le IA generative.
L’ex presidente della US Nuclear Regulatory Commission, Allison Macfarlane, lo dice chiaramente: “La maggior parte degli SMR esiste solo sulla carta”. Il loro cuore ridotto produce meno energia, con la stessa quantità di combustibile, e i costi restano elevati. “Non si possono ignorare le economie di scala”, aggiunge. “Sono idee interessanti. Ma i ‘tech bros’ sembrano scollegati dalla realtà.”
Insomma, i piccoli reattori fanno sognare, ma per ora sono più startup che soluzione.
L’IA corre più veloce del nucleare
Un esempio concreto è Kairos Power, partner di Google, che sogna di generare 50 megawatt di energia nucleare entro il 2030, abbastanza per alimentare una cittadina. L’azienda ha scelto Oak Ridge, Tennessee, sede storica del Progetto Manhattan, come campo di prova per migliorare efficienza e costi. Ma anche moltiplicando per dieci la produzione entro il 2035, la curva dell’IA cresce molto più in fretta.
Secondo Haider Raza, esperto dell’Università dell’Essex, “gli SMR possono fornire energia pulita 24/7, ma non basteranno nemmeno nei prossimi due anni”. E i dati lo confermano: il consumo elettrico dei data center rappresenta già l’1,5% della domanda mondiale e potrebbe raddoppiare entro cinque anni, secondo l’International Energy Agency (IEA).
Il professore Mosharaf Chowdhury, dell’Università del Michigan, non usa giri di parole: “L’IA è cresciuta così in fretta che non abbiamo avuto nemmeno il tempo di immaginare come gestirla.” Il suo team lavora su chip più efficienti e modelli IA “più piccoli e veloci”, ma il risparmio energetico resta marginale.
Paure atomiche e cittadini in rivolta
Anche ammesso che il nucleare possa tornare di moda, resta un problema: la gente non lo vuole vicino casa. Nel marzo scorso, la cittadina di North Tonawanda (New York) ha vietato la costruzione di impianti nucleari dopo che una società tech aveva proposto un mini-reattore per il mining di criptovalute. Un segnale chiaro dell’ostilità che ancora circonda l’atomo.
Eppure, in altri casi, la reazione è opposta. In Tennessee, i cittadini sembrano accogliere con favore l’impianto sperimentale di Kairos Power, forse attratti dall’idea di un’energia “pulita e continua”. Secondo un recente sondaggio del Pew Research Center, una leggera maggioranza degli americani è favorevole all’energia nucleare, segno che qualcosa sta cambiando.
Il problema eterno delle scorie
C’è poi il nodo più scomodo: le scorie radioattive. Gli SMR, spiegano gli esperti, potrebbero produrre più rifiuti nucleari rispetto ai reattori tradizionali. Un ricercatore dell’Università di Stanford avverte: “Da un nucleo più piccolo sfuggono più particelle subatomiche, contaminando i materiali circostanti.”
Eppure, nel paradosso perfetto del XXI secolo, le aziende digitali più potenti del pianeta si affidano alla tecnologia più controversa del Novecento. I loro algoritmi scrivono poesie, ma per funzionare chiedono l’energia dei reattori che un tempo facevano paura.
L’ironia del futuro
Le Big Tech parlano di carbon neutrality e di “mondo verde”, ma intanto riscoprono il vecchio fascino dell’uranio. L’IA, nata per rendere il mondo più efficiente, rischia di diventare l’industria più energivora della storia. E il paradosso è servito: mentre i governi chiudono centrali, le imprese digitali vogliono riaccenderle. Forse, un giorno, un’intelligenza artificiale davvero “consapevole” ci spiegherà l’ironia di tutto questo: per far funzionare il cervello elettronico del futuro, dobbiamo tornare al cuore atomico del passato.
