Ossa forti grazie alla vitamina D, ma uno studio lancia l’allarme

Un integratore potrebbe fare più male che bene. Una nuova ricerca inglese scopre che la D2 può ridurre i benefici della D3

Ci sono parole che suonano come sinonimo di salute, e “vitamina D” è una di queste. La prendiamo per rinforzare le ossa, migliorare l’umore e tenere in forma il sistema immunitario. Eppure, un nuovo studio britannico lancia un messaggio chiaro: non tutte le vitamine D sono uguali e alcune potrebbero perfino remare contro. La scoperta arriva da un lavoro congiunto dell’Università del Surrey, del John Innes Centre e del Quadram Institute Bioscience, pubblicato sulla rivista Nutrition Reviews. Gli scienziati hanno analizzato numerosi dati clinici e sono arrivati a una conclusione spiazzante: l’assunzione di vitamina D2, quella più usata negli integratori vegetali, può ridurre la quantità di vitamina D3 nel sangue, la forma più efficace e attiva del nutriente. In altre parole, invece di rafforzarci, la D2 rischia di indebolire la vera protagonista della nostra salute. Un paradosso biochimico che rimette in discussione anni di consigli salutistici e integratori “miracolosi”.

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Perché la vitamina D è così indispensabile

La vitamina D è un ormone più che una vitamina: il corpo la produce quando la pelle riceve luce solare, e la utilizza per gestire il calcio e il fosforo, elementi essenziali per la salute di ossa e muscoli. A differenza di altre vitamine, non basta un’alimentazione equilibrata per mantenerne i livelli corretti. Ne contengono quantità discrete solo alcuni pesci grassi, il fegato e il tuorlo d’uovo.

Quando il sole cala, o quando passiamo mesi interi dietro una scrivania, le scorte si riducono e il rischio di carenza di vitamina D cresce. La Fondazione Humanitas spiega che “durante i mesi invernali l’intensità dei raggi solari non è sufficiente per attivare la produzione endogena”. È allora che molti scelgono di compensare con gli integratori, magari senza sapere che esistono due versioni distinte: D2 (ergocalciferolo) e D3 (colecalciferolo). Il range considerato ottimale dagli esperti è tra 30 e 100 ng/ml: sotto si rischia la fragilità ossea, sopra si entra in una zona di possibile tossicità.

Lo studio inglese: quando la D2 spegne la D3

Il team britannico ha confrontato decine di ricerche cliniche sui supplementi di vitamina D2. Il risultato è inequivocabile: chi assumeva D2 mostrava una riduzione costante dei livelli di D3 rispetto a chi non prendeva integratori o utilizzava la D3 stessa. Si tratta di un effetto non marginale, perché la D3 è quella che effettivamente agisce a livello cellulare, migliorando la densità ossea e sostenendo la risposta immunitaria.

Uno studio precedente, sempre dell’Università del Surrey, aveva già ipotizzato che D2 e D3 non svolgano la stessa funzione nel sistema immunitario: ora arriva la conferma numerica. La D3 funziona meglio, la D2 potrebbe addirittura interferire. Tradotto: non basta leggere “vitamina D” sull’etichetta per essere tranquilli. La chimica, come sempre, non si lascia ingannare dal marketing.

Gli esperti: “Integratori sì, ma con buon senso”

Prima di gridare allo scandalo, i ricercatori invitano alla calma. La professoressa Emily Brown, coordinatrice dello studio, precisa che “gli integratori di vitamina D restano importanti, in particolare tra ottobre e marzo”, quando l’esposizione al sole è limitata. Tuttavia, aggiunge, “le nostre analisi indicano che la vitamina D3 può essere più utile per la maggior parte delle persone rispetto alla D2”.

Il messaggio è chiaro: non bisogna demonizzare i supplementi, ma sceglierli con criterio. Chi segue una dieta vegana, ad esempio, dovrebbe confrontarsi con il medico su fonti alternative di D3 di origine non animale, oggi disponibili anche da licheni o sintesi vegetale. L’obiettivo è mantenere i benefici, evitando squilibri che possano compromettere l’efficacia del trattamento.

Il mercato della vitamina del sole

Il fenomeno “vitamina D” non è solo scientifico ma anche economico. In Italia il mercato degli integratori alimentari vale ormai miliardi di euro e continua a crescere. Secondo i dati ISS, oltre il 60% degli adulti ne assume regolarmente almeno uno.

Negli ultimi anni, complici la pandemia e la disinformazione online, la vitamina D è diventata la panacea di tutti i mali. Ma dietro le etichette patinate spesso si nasconde poca consapevolezza. La biologia non risponde ai messaggi pubblicitari, e il rischio è credere che “più sia meglio”.

Gli esperti ricordano che una semplice analisi del sangue basta per sapere se serve davvero integrare. Tutto il resto è suggestione. E la ricerca inglese ci ricorda che anche ciò che consideriamo “vitale” può avere un lato oscuro se preso nel modo sbagliato.

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