A Palermo nasce l’esame che smaschera l’Alzheimer ancora prima della comparsa dei sintomi. E l’Italia diventa protagonista nella medicina di precisione
Un semplice prelievo, un ago, pochi millilitri di sangue. Potrebbe sembrare un normale esame di routine, ma dietro quell’analisi si nasconde una rivoluzione silenziosa. Al Policlinico universitario di Palermo, i ricercatori hanno sviluppato un test capace di individuare l’Alzheimer fino a quindici anni prima dei primi sintomi. Una scoperta che cambia radicalmente l’approccio a una delle malattie più devastanti e temute del nostro tempo.
L’innovazione, al centro del 4th Course Alzheimer’s Disease in the Era of Precision Medicine, congresso internazionale ospitato alla Fondazione Ettore Majorana di Erice, segna un punto di svolta per la diagnosi precoce e per la nuova medicina di precisione. A promuovere l’iniziativa è stata la International School of Precision Medicine and Laboratory Medicine, diretta dal professor Marcello Ciaccio, uno dei massimi esperti italiani in biochimica clinica.
Durante l’incontro, neurologi, geriatri e medici di laboratorio provenienti da tutto il mondo hanno discusso come la diagnosi precoce, abbinata a farmaci di nuova generazione, possa rallentare l’evoluzione del morbo e migliorare la qualità di vita dei pazienti. Non più solo terapie palliative, ma una strategia scientifica che punta a prevenire la degenerazione neuronale prima che il danno diventi irreversibile.
Come funziona il test del sangue
Secondo gli esperti, le alterazioni biochimiche e morfologiche del cervello iniziano molto tempo prima che compaiano i disturbi cognitivi. È in quella finestra silenziosa che il nuovo esame interviene, misurando biomarcatori cerebrali nel sangue e fornendo indizi preziosi sull’evoluzione della malattia. Rispetto a tecniche più invasive – come la puntura lombare o la PET cerebrale – il test ematico offre maggiore comfort per i pazienti e costi più contenuti.
“Questo metodo consente di selezionare i soggetti realmente a rischio, evitando esami inutili e concentrando le risorse sui casi più sospetti”, spiegano i ricercatori.
L’analisi rileva in particolare l’accumulo anomalo della proteina beta-amiloide, considerata la principale responsabile della morte neuronale. Identificare questa proteina nel sangue significa riconoscere la firma molecolare dell’Alzheimer prima che si manifesti clinicamente. E la possibilità di farlo con un esame semplice e accessibile apre scenari fino a ieri impensabili per la sanità pubblica e la prevenzione personalizzata.
Le nuove cure che rallentano l’Alzheimer
Parallelamente alla diagnosi precoce, la ricerca apre la strada a farmaci biologici di nuova generazione. Tra questi, due anticorpi monoclonali – lecanemab e donanemab – hanno già ottenuto l’autorizzazione dell’Unione Europea per l’uso in pazienti nelle fasi iniziali del morbo. Gli studi clinici mostrano risultati incoraggianti: una riduzione del declino cognitivo fino al 30% rispetto al placebo, grazie alla capacità di queste molecole di rimuovere le placche amiloidi dal cervello.
“Si tratta dei primi veri trattamenti che agiscono sulla causa biologica della malattia”, sottolineano gli esperti. “Non fermano l’Alzheimer, ma ne rallentano la corsa.”
In Italia, centri d’eccellenza come il San Raffaele di Milano hanno già avviato i primi protocolli terapeutici, mentre altri ospedali universitari si preparano a integrarli nei percorsi clinici standard. La sfida ora è rendere queste cure accessibili e sostenibili, affinché non restino privilegio di pochi.
L’Italia protagonista della ricerca neurodegenerativa
Non è un caso che l’annuncio arrivi proprio dalla Sicilia. Palermo è infatti uno dei pochi centri europei dotati della tecnologia necessaria per l’analisi dei biomarcatori cerebrali. Il Policlinico di Palermo, sotto la direzione di Ciaccio, ha assunto un ruolo da laboratorio di riferimento nella rete di ricerca internazionale sull’Alzheimer. Durante il convegno di Erice, i ricercatori italiani hanno illustrato i risultati dei primi test effettuati, evidenziando la precisione e l’affidabilità del metodo ematico.
“Siamo all’inizio di una nuova era diagnostica”, ha commentato Ciaccio. “La sfida non è solo individuare la malattia prima che si manifesti, ma intervenire in modo mirato, paziente per paziente.”
Questo approccio, fondato sull’integrazione tra medicina di laboratorio e medicina clinica, apre la strada a una nuova alleanza tra ricerca e assistenza sanitaria. L’obiettivo è ambizioso: trasformare la diagnosi precoce in strumento di prevenzione di massa, capace di cambiare radicalmente il destino di milioni di persone.
Le prospettive per i prossimi anni
La comunità scientifica guarda ora al futuro con un misto di entusiasmo e cautela. Le speranze sono altissime, ma restano ancora nodi da sciogliere: i costi, la diffusione delle tecnologie, la formazione dei medici di base e l’inclusione del test nei protocolli nazionali. Certo è che l’Alzheimer non è più una condanna ineluttabile. La combinazione tra diagnosi precoce, farmaci biologici e monitoraggio costante promette di trasformare una malattia devastante in una condizione sempre più controllabile.
