Indice
- 1 Trent’anni dopo restano i danni di cui nessuno parla e un trattato di messa al bando mai concretizzatosi
- 2 Dalla Polinesia al Sahara: l’eredità tossica delle esplosioni
- 3 30 anni di esplosioni nel Pacifico e un’eredità radioattiva
- 4 Una ferita aperta tra risarcimenti e memoria
- 5 Il Trattato mai entrato in vigore
- 6 La dissuasione oggi: tra sicurezza e memoria
Trent’anni dopo restano i danni di cui nessuno parla e un trattato di messa al bando mai concretizzatosi
A distanza di trent’anni dagli ultimi test nucleari francesi condotti nel Pacifico, il dibattito sulla deterrenza atomica europea si è improvvisamente riacceso. La guerra in Ucraina e le minacce del presidente russo Vladimir Putin hanno risvegliato le paure nucleari della Guerra Fredda, portando alcuni analisti a ipotizzare un ombrello atomico francese a difesa dell’Europa. L’ipotesi, non nuova, appare oggi meno utopistica anche per il ritiro progressivo degli Stati Uniti dal ruolo di garanti militari della NATO, avviato già sotto l’amministrazione Trump.
In questo contesto, la lunga storia della forza di dissuasione nucleare francese riacquista rilevanza. A partire dal 1960, con la bomba Gerboise Bleue nel Sahara, fino all’ultima esplosione nel 1996, la Francia ha condotto oltre 200 test atomici, molti dei quali in Polinesia Francese, su isole che oggi portano i segni duraturi di quella stagione. Il 13 giugno 1995, appena insediato, il presidente Jacques Chirac annunciò la ripresa dei test, interrompendo una moratoria durata tre anni. Nonostante le proteste globali, otto detonazioni vennero effettuate tra il 1995 e il 1996, giustificate da Parigi come passaggio obbligato verso le simulazioni computerizzate e la firma del Trattato di bando totale dei test nucleari (CTBT).
Dalla Polinesia al Sahara: l’eredità tossica delle esplosioni
La decisione di Chirac scatenò un’ondata di proteste ambientaliste e pacifiste che percorsero il pianeta, da Papeete a Parigi. Stati come Australia, Nuova Zelanda e Giappone denunciarono pubblicamente la scelta francese, boicottando prodotti e lanciando campagne diplomatiche di condanna.
Il percorso atomico della Francia era iniziato nel 1960 con la detonazione nel deserto algerino di Gerboise Bleue, una bomba da 70 chilotoni. Nei cinque anni successivi furono effettuati altri 16 test in Algeria (13 sotterranei e 3 atmosferici), causando gravi danni alla salute della popolazione locale e del personale militare. A partire dal 1966, le esplosioni vennero spostate nell’oceano Pacifico, in Polinesia Francese, sulle isole di Moruroa e Fangataufa.
30 anni di esplosioni nel Pacifico e un’eredità radioattiva
Tra il 1966 e il 1996, la Francia ha condotto 193 test nucleari nel Pacifico, di cui sei sotterranei negli ultimi due anni. Gli effetti sulla popolazione di Maō’hui Nui (nome indigeno della Polinesia Francese) furono devastanti: contaminazione dell’acqua e del cibo, danni alla fauna marina, esposizione della popolazione a radiazioni letali.
All’epoca, Chirac dichiarò con sicurezza: “Questi test non comportano alcuna conseguenza ecologica”. Una frase oggi considerata del tutto falsa, frutto di dati sottostimati e conclusioni scientificamente infondate. I militari francesi impiegati nei siti di test, così come i residenti delle isole e i territori limitrofi, hanno pagato un prezzo altissimo in termini di salute.
Nel 2010, la Francia ha approvato la legge Morin, con l’intento di indennizzare le vittime delle radiazioni tra il 1960 e il 1996. Ma i numeri dimostrano che si è trattato di un provvedimento più simbolico che concreto. Solo un algerino e poco più di 400 polinesiani hanno ottenuto un risarcimento su quasi 3.000 richieste presentate. Migliaia di altri casi restano ignorati.
Una ferita aperta tra risarcimenti e memoria
Durante le Olimpiadi di Parigi 2024, è emerso un forte contrasto tra la rappresentazione turistica della Polinesia come paradiso esotico e la realtà di inquinamento e ingiustizia storica. Le gare di surf organizzate sulle stesse isole colpite dagli esperimenti atomici hanno riaperto le ferite della comunità locale, che da anni chiede verità, archivi aperti e risarcimenti adeguati.
Nel 2021, il presidente Emmanuel Macron ha riconosciuto che “la Francia ha un debito verso il popolo di Maō’hui Nui”. Ha promesso l’apertura degli archivi, ma secondo le associazioni locali i progressi sono minimi. È atteso un rapporto parlamentare francese sull’impatto sanitario e ambientale dei test, che potrebbe rappresentare una svolta nella trasparenza istituzionale.
In Polinesia, le richieste di giustizia si legano alla causa indipendentista, mentre in Algeria l’argomento resta tabù, anche a causa delle tensioni post-coloniali ancora forti tra Parigi e Algeri.
Il Trattato mai entrato in vigore
L’ultimo test nucleare francese risale al gennaio 1996, con una bomba da 120 chilotoni. In settembre, la Francia firmò il CTBT, insieme ad altre potenze nucleari come Stati Uniti, Russia, Regno Unito e Cina. In tutto, 187 Stati hanno firmato il trattato, e la maggior parte lo ha anche ratificato.
Eppure, quasi trent’anni dopo, il CTBT non è mai entrato ufficialmente in vigore. Mancano le ratifiche di nove Paesi chiave, tra cui Stati Uniti, Cina, Israele, Egitto e Iran. Alcuni firmatari, come la Russia, hanno addirittura ritirato la ratifica (2023). Tra i non firmatari si trovano tre potenze nucleari: India, Corea del Nord e Pakistan, tutte responsabili di test nucleari dopo il 1996.
Di fronte a queste eccezioni, il futuro di accordi più ambiziosi, come il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW) approvato nel 2017 e non firmato da nessuna potenza atomica, appare fragile. Le tensioni geopolitiche attuali rendono difficile immaginare un mondo in cui il disarmo possa diventare realtà.
La dissuasione oggi: tra sicurezza e memoria
L’idea di un ombrello nucleare francese per l’Europa resta, per ora, una proposta più simbolica che concreta. Tuttavia, alla luce del conflitto in Ucraina e delle crisi internazionali in corso, il concetto di deterrenza torna ad avere un ruolo centrale.
Il prezzo di questa dottrina, però, è scritto nei corpi irradiati degli abitanti di Moruroa e nei silenzi delle famiglie algerine. L’eredità tossica dei test nucleari francesi pesa ancora sulle coscienze e sulla politica. Ogni proposta di utilizzo strategico dell’arsenale atomico dovrebbe tenere conto anche di questa memoria dolorosa, troppo spesso rimossa dai dibattiti ufficiali.
Oggi più che mai, affrontare la questione significa coniugare sicurezza e giustizia storica, protezione dei popoli e riconoscimento delle colpe. Senza questa consapevolezza, il rischio è di ripetere gli errori del passato, in nome di una pace armata.
Fonte:
The Conversation