Indice
- 1 Rigenera i neuroni danneggiati e potrebbe invertire i sintomi della malattia
- 2 L’enzima LRRK2 e le ciglia perdute dei neuroni
- 3 MLi-2, la molecola che fa rinascere i neuroni
- 4 Dal blocco alla rigenerazione: perché è una svolta
- 5 Verso la sperimentazione clinica sull’uomo
- 6 Una speranza concreta per milioni di pazienti
Rigenera i neuroni danneggiati e potrebbe invertire i sintomi della malattia
La ricerca neurologica ha segnato un traguardo tanto sperato quanto inaspettato: una nuova terapia potrebbe non solo fermare la progressione del Parkinson, ma anche invertirne gli effetti più gravi. Lo afferma un recente studio condotto da un team della Stanford Medicine, che ha individuato un meccanismo molecolare capace di riparare i danni ai neuroni dopaminergici. Inibendo l’attività di un enzima iperattivo, è stato possibile ripristinare la comunicazione tra diverse aree del cervello, restituendo vitalità a cellule nervose altrimenti condannate a morire. La scoperta riguarda una forma genetica della malattia e apre prospettive terapeutiche totalmente nuove. A livello globale, milioni di persone convivono con il Parkinson: poter invertire la degenerazione cerebrale non è mai stato, finora, un obiettivo realistico. Questo studio dimostra invece che la rigenerazione è possibile. E anche se la sperimentazione è ancora in fase preclinica, i risultati ottenuti sono già stati definiti “straordinari”.
L’enzima LRRK2 e le ciglia perdute dei neuroni
Alla base della nuova scoperta c’è il comportamento anomalo di un enzima chiamato LRRK2, che in alcuni pazienti diventa iperattivo a causa di una mutazione genetica. Questo squilibrio danneggia gravemente i neuroni dopaminergici, responsabili del controllo motorio.
Il malfunzionamento ha un effetto devastante: i neuroni perdono le loro “ciglia primarie”, piccole antenne che servono a ricevere segnali chimici fondamentali per la sopravvivenza cellulare. “È come se un’intera città perdesse all’improvviso il segnale del cellulare”, spiegano i ricercatori. Senza queste strutture, i neuroni non riescono più a trasmettere l’allarme chimico che stimola la produzione di proteine neuroprotettive. Il messaggio, noto come segnale “Sonic Hedgehog”, non arriva mai a destinazione.
MLi-2, la molecola che fa rinascere i neuroni
Il team guidato da Suzanne Pfeffer ha testato MLi-2, un inibitore mirato dell’enzima LRRK2, su topi geneticamente modificati. Nei primi 14 giorni, la terapia non ha prodotto effetti evidenti. Tuttavia, ispirandosi a studi sui ritmi circadiani, i ricercatori hanno prolungato il trattamento a tre mesi.
Il cambiamento è stato repentino e sorprendente: “I risultati sono stati straordinari”, ha affermato la stessa Pfeffer. Le ciglia primarie sono ricomparse, ripristinando la funzionalità neuronale. Nel cervello dei topi trattati, la densità delle terminazioni nervose dopaminergiche è raddoppiata, segno evidente che molti neuroni erano riusciti a salvarsi. In pratica, il circuito cerebrale coinvolto nel controllo del movimento ha ricominciato a funzionare correttamente.
Dal blocco alla rigenerazione: perché è una svolta
Quello che rende questa ricerca unica non è solo la capacità di interrompere la progressione della malattia, ma anche di invertirla. Gli animali trattati hanno mostrato livelli normalizzati dei fattori neuroprotettivi e un evidente calo dello stress neuronale.
La mutazione genetica su cui si concentra lo studio rappresenta circa il 25% dei casi di Parkinson. Tuttavia, i ricercatori ipotizzano che lo stesso approccio possa essere applicato anche ad altre forme, a patto che si riesca a intervenire in fase precoce. Infatti, i sintomi iniziali compaiono anche 15 anni prima della diagnosi tipica: perdita dell’olfatto, stitichezza e disturbi del sonno REM sono segnali da non sottovalutare.
Verso la sperimentazione clinica sull’uomo
Alcuni inibitori dell’enzima LRRK2 sono già in fase di trial clinico, anche grazie al sostegno economico della Michael J. Fox Foundation, che da anni finanzia la ricerca sul Parkinson. Lo studio di Stanford, sviluppato in collaborazione con l’Università di Dundee (Scozia), mira ora a verificare se l’approccio possa funzionare anche nelle forme non genetiche della malattia.
La stessa Pfeffer si dice fiduciosa: “Questi risultati suggeriscono che questo approccio ha grandi promesse per aiutare i pazienti in termini di ripristino dell’attività neuronale in questo circuito cerebrale”. Il prossimo passo sarà testare l’efficacia sull’uomo. Se i dati preclinici verranno confermati, potremmo trovarci di fronte a una nuova era terapeutica per il Parkinson, basata non più solo sulla gestione dei sintomi ma sulla rigenerazione del tessuto neuronale.
Una speranza concreta per milioni di pazienti
Il Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce oltre 10 milioni di persone nel mondo. Fino ad oggi, le terapie erano esclusivamente palliative, con l’obiettivo di rallentare il declino. La possibilità di far ricrescere i neuroni danneggiati rappresenta un cambio di paradigma. Questa scoperta non promette una cura universale, ma introduce un principio fondamentale: l’intervento molecolare mirato può rigenerare il sistema nervoso. Un’idea che, fino a ieri, sembrava fantascienza. I prossimi anni saranno cruciali per capire se questo approccio potrà davvero trasformarsi in una terapia efficace anche per gli esseri umani.
