E. coli e Klebsiella sono diventati il nostro peggior incubo. L’OMS suona l’allarme contro i batteri che ci fanno paura
Nel 2025 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) presenta una fotografia allarmante: un’infezione su sei tra quelle più comuni è ormai resistente ai trattamenti antibiotici. In alcune aree del mondo, la quota schizza a una su tre. Il rapporto Global Antibiotic Resistance Surveillance Report 2025, costruito su dati provenienti da oltre 100 Paesi, mostra una tendenza che si fa sempre più pericolosa. I batteri Gram-negativi, in particolare Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae, stanno emergendo come protagonisti della crisi. Questi microrganismi mostrano una resistenza crescente ai farmaci che una volta erano la prima linea d’attacco, costringendo la medicina a retrocedere verso armi più estreme. L’OMS avverte che la resistenza antimicrobica (AMR) “sta superando i progressi della medicina moderna, minacciando la salute delle famiglie in tutto il mondo”. Oggi la sfida riguarda anche chi non frequenta gli ospedali: le infezioni resistenti oltrepassano i reparti e penetrano nella vita quotidiana.
Il quadro globale: dati che fanno tremare
Tra i Paesi con sistemi sanitari più fragili, la diffusione dei ceppi resistenti è drammatica. In Africa la resistenza supera il 70% per alcuni ceppi, mentre in regioni come il Sud-Est asiatico o il Mediterraneo orientale un’infezione su tre è ormai resistente. Le cause? Diagnosi inadeguate, mancanza di laboratori all’avanguardia, uso indiscriminato di antibiotici. Questi fattori alimentano una diffusione che appare quasi inarrestabile.
I dati del rapporto rivelano che oltre il 40% dei ceppi di E. coli e più del 55% di quelli di K. pneumoniae sono resistenti alle cefalosporine di terza generazione, farmaci considerati fino a poco tempo fa fra quelli essenziali. Anche i carbapenemi e le fluorochinoloni, antibiotici salvavita, mostrano un’efficacia sempre più ridotta contro questi batteri. Il problema peggiora dove i sistemi sanitari sono deboli, creando un circolo vizioso.
L’evoluzione inquietante della resistenza antibiotica
La resistenza ai carbapenemi, un tempo quasi rara, ora tende a espandersi. Ciò riduce drasticamente le opzioni terapeutiche e obbliga a ricorrere ad antibiotici di “ultima istanza” — costosi, difficili da ottenere e spesso assenti nei Paesi a basso reddito. Tra il 2018 e il 2023, la resistenza è cresciuta per il 40 % degli antibiotici monitorati, con un aumento medio annuo compreso tra il 5 % e il 15 %. I dati del rapporto si basano su oltre 23 milioni di infezioni confermate in laboratorio. Il messaggio è chiaro: la minaccia non è più confinata ai reparti ospedalieri, ma ha invaso l’intero campo della salute pubblica.
Impatti regionali e disparità globali
Secondo l’OMS, la resistenza è più pronunciata nelle regioni del Sud-Est asiatico e del Mediterraneo orientale, dove una su tre infezioni è resistente. In Africa la media è di una su cinque. In Europa il fenomeno è meno intenso, ma non per questo innocuo: in media una su dieci infezioni presenta resistenza. Le aree con sistemi sanitari poveri sono quelle dove cresce più rapidamente la minaccia, soprattutto per l’assenza di infrastrutture diagnostiche.
Dal 2016, con la nascita del sistema GLASS (Global Antimicrobial Resistance and Use Surveillance System), il numero dei Paesi partecipanti è salito da 25 a 104. Tuttavia quasi il 48 % non invia dati completi e molti non possiedono sistemi digitali uniformi. Nel caso delle infezioni urinarie, la resistenza è altissima: una su tre. Quanto alla sepsi da Gram-negativi, circa il 40 % dei casi elude i trattamenti standard. Nei Paesi a basso e medio reddito, il carico è più pesante: mortalità alta, costi in crescita. Nel 2022 gli antibiotici di prima scelta (“Access”) rappresentavano appena il 52,7 % dell’uso globale, lontani dall’obiettivo del 70 %. Nel frattempo, gli antibiotici “Watch” superano il 70 % in un terzo delle nazioni.
Le richieste dell’OMS
L’OMS sollecita che entro il 2030 gli Stati trasmettano dati affidabili sulla resistenza antimicrobica e sull’uso degli antibiotici. È fondamentale potenziare laboratori, dotarsi di test rapidi, armonizzare le linee guida cliniche con i modelli di resistenza locali e sostenere approcci che integrino salute umana, animale e ambientale sotto l’ombrello del concetto One Health. Serve anche un impegno concreto nell’innovazione: nuove molecole antibiotiche, diagnostica molecolare veloce e strategie coordinate. Solo così, avverte il rapporto, sarà possibile arginare una crisi che già oggi provoca milioni di morti ogni anno e che rischia di farci tornare a un’epoca in cui gli antibiotici non esistevano.
