Peperoncini piccanti, la sola scala Scoville non basta

Scoperti tre composti naturali che spengono la piccantezza anche in presenza di alti livelli di capsaicina. Applicazioni nel cibo e nella medicina

Quando si assaggia un peperoncino, ci si aspetta una fiammata in bocca: una sensazione di bruciore provocata dai capsaicinoidi, le molecole che danno origine al gusto piccante. Ma in alcuni casi, nonostante la presenza elevata di questi composti, il peperoncino risulta sorprendentemente mite. Ora, uno studio pubblicato sul Journal of Agricultural and Food Chemistry rivela che esistono altri composti naturali, presenti nei peperoncini, in grado di attenuare quella sensazione di calore. I ricercatori hanno identificato tre sostanze che sembrano “spegnere” la piccantezza, mettendo in discussione l’affidabilità della storica scala di Scoville, usata da oltre un secolo per misurare la “forza” di un peperoncino.

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La scala di Scoville potrebbe non dire tutta la verità

La scala di Scoville misura l’intensità piccante attraverso due principali capsaicinoidi: capsaicina e diidrocapsaicina. Più sono presenti, più alto è il punteggio, da 0 SHU (peperoni dolci) a milioni di SHU (come il Carolina Reaper). Ma non sempre la percezione del piccante corrisponde al numero indicato. Alcuni peperoncini, pur avendo una concentrazione elevata di capsaicinoidi, risultano meno pungenti al palato.

Per approfondire questa anomalia, Devin Peterson, insieme a Joel Borcherding ed Edisson Tello, ha condotto un’analisi su 10 varietà diverse, tra cui Chile de árbol, serrano, African bird’s eye, Fatalii e Scotch bonnet. I peperoncini sono stati essiccati, ridotti in polvere e analizzati con spettrometria di massa, per misurarne i contenuti precisi di capsaicina e diidrocapsaicina.

Test sensoriali e chimici svelano la presenza di composti inibitori

Per valutare la reale percezione del piccante, i ricercatori hanno preparato delle miscele di pomodoro con un contenuto standardizzato di 800 SHU e le hanno fatte assaggiare a un panel di esperti. Nonostante la stessa quantità di capsaicinoidi, la percezione di intensità piccante variava sensibilmente da un peperoncino all’altro. Ciò ha spinto gli studiosi a ipotizzare la presenza di altri composti attivi nel ridurre la sensazione di bruciore.

L’analisi chimica più approfondita ha portato all’identificazione di cinque molecole sospette. I ricercatori hanno testato la loro capacità di modulare la piccantezza, somministrandole insieme a capsaicina e diidrocapsaicina. I risultati sono stati chiari: tre di questi composticapsianoside I, roseoside e gingerglycolipid Aattenuano la sensazione di piccante, anche se non in modo cumulativo se combinati tra loro.

Nuove prospettive per la cucina e per la medicina del dolore

Oltre a non alterare il sapore dei piatti (in acqua non producono alcun gusto), questi “anti-spezie” naturali potrebbero trovare ampio impiego nel settore alimentare, permettendo di creare piatti su misura per chi non tollera il piccante o per chi desidera un gusto speziato ma più delicato.

Ma l’impatto potrebbe essere ancora più ampio. “Questi avanzamenti potrebbero permettere la personalizzazione dei profili aromatici piccanti o portare alla creazione di un ingrediente da cucina pensato per attenuare l’eccesso di calore nei piatti: un vero e proprio anti-spezie”, spiega Peterson. “Inoltre, rappresentano un’opportunità significativa per lo sviluppo di analgesici non oppioidi nella gestione del dolore”.

Il futuro della scala di Scoville: è tempo di una revisione?

Lo studio apre scenari inattesi: se la sensazione di piccante dipende da fattori diversi dalla sola quantità di capsaicinoidi, l’intera struttura della scala di Scoville potrebbe dover essere riconsiderata. I ricercatori non negano il valore storico del metodo, ma ritengono che, per una valutazione più affidabile della pungency, sia necessario integrare nuovi parametri chimici. La sfida futura sarà costruire strumenti sensoriali e analitici più precisi per valutare in modo oggettivo ciò che brucia di più… o di meno.

Lo studio completo

Journal of Agricultural and Food Chemistry

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