Indice
- 1 Il boom dei lanci spaziali minaccia l’ozono: uno studio propone soluzioni per contenere il danno
- 2 Inquinamento atmosferico senza precedenti
- 3 Un ritardo nella guarigione dell’ozono
- 4 I carburanti peggiori e i sistemi da evitare
- 5 I satelliti in rientro sono un altro problema
- 6 Serve coordinazione globale e una nuova regolamentazione
Il boom dei lanci spaziali minaccia l’ozono: uno studio propone soluzioni per contenere il danno
Il rapido incremento dei lanci spaziali potrebbe minacciare la ripresa dello strato di ozono, il sottile scudo atmosferico che protegge la Terra dai raggi UV. A lanciare l’allarme è il climatologo Sandro Vattioni, autore di un recente studio che sottolinea come le emissioni generate da razzi e detriti spaziali in rientro possano compromettere decenni di sforzi globali. Negli ultimi anni, il cielo notturno è stato invaso da una fitta rete di satelliti, frutto della crescita esponenziale dell’industria spaziale. Ma questa corsa allo spazio, pur aprendo a straordinarie opportunità tecnologiche, comporta anche nuove minacce ambientali finora poco considerate. Le emissioni generate durante i lanci e i rientri nell’atmosfera finiscono nella media atmosfera, una zona fragile dove gli inquinanti possono permanere fino a 100 volte più a lungo rispetto a quelli rilasciati a livello del suolo, compromettendo la stabilità dello strato di ozono. Gli effetti, inizialmente ritenuti trascurabili, stanno ora emergendo con maggiore evidenza, specialmente alla luce della crescita esplosiva delle attività spaziali: dai 97 lanci orbitali del 2019 siamo passati ai 258 previsti nel solo 2024, con stime che parlano di oltre 2000 lanci all’anno entro il 2030.
Inquinamento atmosferico senza precedenti
Secondo lo studio, le emissioni prodotte da razzi e frammenti in rientro possono permanere per anni nelle regioni alte dell’atmosfera, contribuendo a una progressiva erosione dell’ozono. Questo avviene perché mancano meccanismi naturali di rimozione, come il lavaggio tramite le piogge. Sebbene la maggior parte dei lanci avvenga nell’emisfero nord, la circolazione atmosferica distribuisce gli inquinanti su scala globale.
Per comprendere l’impatto a lungo termine di queste emissioni, un team internazionale guidato da Laura Revell (Università di Canterbury) ha collaborato con l’ETH di Zurigo e il PMOD/WRC, realizzando una simulazione tramite un modello chimico-climatico. Il risultato è allarmante: nel caso di uno scenario con 2040 lanci annuali nel 2030, lo spessore medio dello strato di ozono potrebbe ridursi dello 0,3%, con punte stagionali del -4% sopra l’Antartide.
Un ritardo nella guarigione dell’ozono
Anche se i numeri possono sembrare modesti, il contesto rende queste cifre preoccupanti. La Terra è ancora in fase di recupero dai danni provocati in passato dai clorofluorocarburi (CFC), vietati nel 1989 grazie al Protocollo di Montreal. Attualmente, lo strato di ozono è ancora del 2% più sottile rispetto all’epoca preindustriale e non si prevede un pieno recupero prima del 2066. Le nuove emissioni dei razzi, attualmente non soggette a regolamentazione, potrebbero rallentare o addirittura arrestare questa ripresa. I ricercatori avvertono che, a seconda dell’intensità futura dei lanci, i tempi di recupero potrebbero allungarsi di anni o decenni.
I carburanti peggiori e i sistemi da evitare
I principali responsabili di questi effetti negativi sono le emissioni di cloro e le particelle di fuliggine, prodotti dai propellenti. Il cloro è particolarmente pericoloso perché distrugge le molecole di ozono attraverso reazioni catalitiche, mentre la fuliggine riscalda la media atmosfera e amplifica tali reazioni.
Le emissioni di cloro derivano soprattutto dai motori a combustibile solido, mentre la fuliggine è prodotta dalla quasi totalità dei razzi. Solo i propulsori che utilizzano combustibili criogenici (ossigeno e idrogeno liquidi) risultano quasi innocui per lo strato di ozono. Tuttavia, questa tecnologia rappresenta appena il 6% dei lanci totali, per via della sua complessità tecnica e dei costi elevati.
I satelliti in rientro sono un altro problema
Un aspetto ancora poco compreso riguarda le emissioni provocate dal rientro dei satelliti, che bruciano nell’atmosfera alla fine del loro ciclo operativo. Questo processo genera nuove sostanze nocive, tra cui ossidi di azoto e microparticelle metalliche. Gli ossidi di azoto, come noto, distruggono l’ozono in modo catalitico. Le particelle metalliche, invece, possono contribuire alla formazione delle nubi stratosferiche polari o diventare superfici di reazione chimica, accentuando ulteriormente la perdita di ozono.
Secondo gli autori dello studio, questi effetti di rientro sono tuttora esclusi dai modelli climatici più comuni, ma andranno considerati in futuro, poiché aumenteranno con l’espansione delle costellazioni satellitari. Il danno reale potrebbe quindi superare le attuali stime.
Serve coordinazione globale e una nuova regolamentazione
Una strategia condivisa può salvare lo scudo della Terra
Lo studio conclude con un appello alla comunità scientifica, alle istituzioni e all’industria spaziale. “Un’industria dei lanci spaziali che rispetti l’ozono è possibile”, si legge nel testo. Ma per realizzarla servono interventi mirati: monitoraggio delle emissioni, limitazione dei combustibili più inquinanti, promozione di sistemi alternativi e, soprattutto, norme ambientali specifiche.
Il Protocollo di Montreal ha dimostrato che anche le minacce ambientali su scala planetaria possono essere affrontate con successo se c’è collaborazione. Oggi, in un’epoca di nuova corsa allo spazio, serve la stessa lungimiranza per proteggere lo strato di ozono, uno degli scudi naturali più preziosi del nostro pianeta.
Fonte:
Science
