Primo farmaco sperimentale contro il long COVID

Un antivirale sperimentale protegge da danni cerebrali e polmonari legati al long COVID: è la prima svolta concreta contro la “pandemia silenziosa”

Un nuovo farmaco sperimentale ha mostrato per la prima volta la capacità di prevenire i sintomi del long COVID nei test preclinici condotti sui topi. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, arrivano da un gruppo multidisciplinare di ricercatori del WEHI (Walter and Eliza Hall Institute of Medical Research), che ha sviluppato un composto antivirale capace di proteggere da disfunzioni cerebrali e polmonari prolungate, due delle manifestazioni più invalidanti del long COVID.

Questa scoperta, definita “una pietra miliare” dagli autori dello studio, apre per la prima volta la strada a una possibile terapia orale per contrastare gli effetti cronici dell’infezione da SARS-CoV-2. Si tratta di una svolta attesa da tempo, considerando che milioni di persone nel mondo convivono con sintomi persistenti a distanza di settimane o mesi dalla guarigione dall’infezione acuta.

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Long COVID, sintomi cronici senza ancora una cura

La patologia è ancora poco compresa dalla scienza

Il long COVID, noto anche come post-acute sequelae of COVID-19 (PASC), rappresenta una condizione cronica dai contorni ancora sfumati. I sintomi più comuni includono difficoltà respiratorie, stanchezza cronica e annebbiamento mentale, ma la variabilità da paziente a paziente è molto ampia.

Nonostante la grande diffusione della sindrome—stimata attorno al 5% delle persone infettate—le sue cause restano in gran parte sconosciute e al momento non esistono terapie approvate per curarla. Il dottor Marcel Doerflinger, autore corrispondente e responsabile del laboratorio WEHI, ha commentato: “Con il 5% dei pazienti che sviluppa il long COVID, la malattia si è trasformata in una pandemia silenziosa, dove milioni di persone affrontano sintomi senza risposte concrete”.

“I nostri studi preclinici hanno raggiunto un risultato mai ottenuto prima: prevenire i sintomi più debilitanti del long COVID nei modelli murini”, ha aggiunto. “Serviranno ulteriori ricerche per arrivare a un farmaco utilizzabile sugli esseri umani, ma questi risultati suggeriscono che potrebbe davvero essere possibile, ed è qualcosa di estremamente promettente”.

Un nuovo bersaglio molecolare per fermare il virus

A differenza dei farmaci attualmente approvati, come Paxlovid, che agiscono sulla proteina virale Mpro, i ricercatori del WEHI hanno scelto di puntare su un’altra proteina, PLpro, già identificata nel 2020 come potenziale bersaglio terapeutico.

Il professor David Komander, che studia da oltre 15 anni questa famiglia di proteine, ha guidato il team che ha individuato nuovi inibitori specifici per PLpro. “I farmaci esistenti non erano riusciti a bloccare efficacemente PLpro nelle cellule—così ci siamo chiesti se potessimo trovarne di nuovi in grado di superare questi limiti”, ha spiegato Komander.

Per questo, il team si è affidato al National Drug Discovery Centre (NDDC) e ha analizzato oltre 400.000 molecole alla ricerca di un composto attivo. “Identificare un bersaglio, sviluppare un farmaco e testarlo in meno di cinque anni è un traguardo incredibile, possibile solo grazie alle tecnologie avanzate e alla collaborazione multidisciplinare”, ha sottolineato Komander.

Un’efficacia potenziale anche contro l’infezione acuta

Il nuovo farmaco potrebbe superare Paxlovid

Il composto non si limita a contrastare il long COVID. Secondo quanto riportato dal dottor Shane Devine, co-autore e primo firmatario dello studio, “il nostro farmaco ha dimostrato una potenziale efficacia contro l’infezione acuta da COVID superiore a quella degli antivirali attualmente disponibili”.

Paxlovid, oggi considerato il trattamento principale, è raccomandato solo per i pazienti a rischio di forme gravi. Uno dei suoi limiti principali è la necessità di una doppia molecola per funzionare, il che può causare interazioni farmacologiche con altri medicinali.

“Tutti gli antivirali in commercio puntano su Mpro e presentano questo problema—da qui l’urgenza di sviluppare farmaci più efficaci e accessibili”, ha aggiunto Devine. “Il virus SARS-CoV-2 continua a mutare, e presto Paxlovid potrebbe non funzionare più. I nostri risultati offrono una possibile soluzione per colmare queste lacune critiche”.

I prossimi passi verso una terapia umana

Il lavoro proseguirà grazie alla collaborazione con il Centre for Drug Candidate Optimization (CDCO) e il Monash Institute of Pharmaceutical Sciences (MIPS), per analizzare le proprietà farmacologiche del nuovo composto.

Se le fasi successive confermeranno i risultati, potremmo essere davanti al primo trattamento in grado di prevenire davvero il long COVID, una condizione che ha cambiato la vita di milioni di persone e su cui la scienza sta ancora facendo luce.

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