Questo farmaco protegge il cervello dall’Alzheimer

Sviluppata una molecola che rafforza la barriera emato-encefalica e previene il declino cognitivo: svolta per le malattie neurodegenerative

Nel mondo, oltre 55 milioni di persone convivono con forme di demenza causate dall’Alzheimer e da altre patologie neurodegenerative che distruggono progressivamente le cellule cerebrali. Fino a oggi, non esistono cure davvero efficaci per arrestare o gestire questi processi, ma un nuovo studio ha appena aperto uno spiraglio. Un team di scienziati della Case Western Reserve University, insieme ai colleghi dell’University Hospitals e del Louis Stokes Cleveland VA Medical Center, ha infatti identificato un farmaco sperimentale capace di proteggere la barriera emato-encefalica (BBB), la frontiera biologica che difende il cervello dalle sostanze nocive. Il risultato, pubblicato sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences il 21 maggio, è stato ottenuto grazie a test su modelli animali che simulano l’Alzheimer umano.

“I nostri risultati suggeriscono un modo efficace e sicuro per prevenire la neurodegenerazione e il declino cognitivo nell’Alzheimer, agendo direttamente sulla barriera emato-encefalica”, ha spiegato Andrew Pieper, psichiatra e neuroscienziato co-autore dello studio. “Nei topi trattati con il farmaco, la BBB è rimasta intatta, il cervello non ha subito danni e, soprattutto, memoria e capacità cognitive sono state completamente preservate”. Queste scoperte aprono scenari promettenti nella lotta contro una delle malattie più temute dell’età avanzata.

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Un nuovo bersaglio terapeutico: la barriera emato-encefalica

Tradizionalmente, la ricerca sull’Alzheimer ha puntato tutto sui neuroni e sulle alterazioni che li colpiscono. In questo studio, invece, gli scienziati hanno scelto un bersaglio innovativo: la barriera emato-encefalica, una fitta rete di cellule che separa il tessuto cerebrale dal sangue, lasciando passare solo le molecole utili e bloccando l’ingresso di agenti pericolosi come batteri e virus.

“La BBB è il vero guardiano del cervello”, spiegano i ricercatori, sottolineando come la sua compromissione sia spesso uno dei primi segnali di Alzheimer e di altre malattie neurologiche, inclusi i traumi cranici.

Un dettaglio chiave emerso dallo studio è che il deterioramento della barriera emato-encefalica precede la perdita neuronale in molte condizioni, suggerendo che rafforzarne la protezione potrebbe rallentare o bloccare l’intero processo neurodegenerativo. I ricercatori hanno così individuato un enzima, 15-PGDH, particolarmente abbondante nella BBB, che si eleva ulteriormente in presenza di Alzheimer, traumi cerebrali e invecchiamento, danneggiando la barriera stessa.

Bloccare l’enzima e preservare memoria e cervello

Focalizzandosi sull’enzima 15-PGDH, il team ha sperimentato un farmaco chiamato SW033291, sviluppato proprio a Cleveland per bloccare questa molecola dannosa.
Inizialmente nato per altri scopi (come la riparazione di tessuti dopo trapianti o colite), il principio attivo si è rivelato efficace anche nel prevenire la neuroinfiammazione e nel proteggere la barriera emato-encefalica nei modelli animali di Alzheimer.

“Scoprire che bloccare 15-PGDH ferma l’infiammazione cerebrale e protegge la barriera emato-encefalica è stato entusiasmante”, racconta Sanford Markowitz, altro autore dello studio.

Un dato molto importante è che il farmaco non modifica la quantità di amiloide (la proteina che si accumula nel cervello degli Alzheimer), ma agisce direttamente sul meccanismo protettivo della BBB. Questo approccio si differenzia dai trattamenti tradizionali, che puntano solo a rimuovere l’amiloide, spesso con risultati limitati e gravi effetti collaterali.

Risultati promettenti anche dopo traumi cerebrali

I benefici di SW033291 non si sono limitati all’Alzheimer: gli scienziati hanno infatti verificato che il farmaco protegge i topi dalla neurodegenerazione e dalla perdita di memoria anche dopo un trauma cranico (come una commozione cerebrale), persino quando somministrato a distanza di 24 ore dall’evento.

Questo dato rafforza la convinzione che il nuovo approccio possa essere utile non solo per l’Alzheimer, ma per molte altre condizioni che mettono a rischio il cervello. Alla luce dei risultati, i ricercatori sperano che la molecola possa presto essere testata in trial clinici sull’uomo, con l’obiettivo di estendere la terapia a chi soffre di Alzheimer, traumi cerebrali e forse anche ad altre patologie neurodegenerative.

Fonte:
Proceedings of the National Academy of Sciences

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