Indice
- 1 Gli NRTI riducono rischio del 13 per cento l’anno grazie all’azione antinfiammatoria sul cervello. Possibile prevenire 1 milione di casi l’anno
- 2 Uno studio di lunga durata su due grandi coorti indipendenti
- 3 Ogni anno di trattamento con NRTI riduce il rischio di Alzheimer
- 4 Azione antinfiammatoria indipendente dall’attività antivirale
- 5 Verso nuovi farmaci mirati: al via la sperimentazione del K-9
- 6 Limiti dello studio e implicazioni per la ricerca futura
Gli NRTI riducono rischio del 13 per cento l’anno grazie all’azione antinfiammatoria sul cervello. Possibile prevenire 1 milione di casi l’anno
I farmaci approvati per il trattamento dell’HIV e dell’epatite B potrebbero offrire una nuova protezione contro il morbo di Alzheimer. È quanto emerge da un imponente studio pubblicato su Alzheimer’s & Dementia, condotto da un team coordinato dal professor Jayakrishna Ambati dell’Università della Virginia. Gli scienziati hanno scoperto che i nucleoside reverse transcriptase inhibitors (NRTI), noti per inibire la replicazione virale, sono anche in grado di bloccare l’attivazione degli inflammasomi, proteine implicate nell’infiammazione cerebrale tipica dell’Alzheimer. Analizzando 271.198 pazienti provenienti da due grandi database sanitari statunitensi (VA e MarketScan), è emersa una chiara associazione tra l’uso prolungato di NRTI e una riduzione statisticamente significativa del rischio di sviluppare la demenza, con effetti protettivi crescenti per ogni anno di trattamento.
Uno studio di lunga durata su due grandi coorti indipendenti
Per indagare il legame tra esposizione agli NRTI e comparsa di Alzheimer, i ricercatori hanno analizzato 24 anni di dati della US Veterans Health Administration (VA) e 14 anni del database MarketScan, che include pazienti assicurati commercialmente.
Hanno selezionato persone con diagnosi di HIV o epatite B e almeno 50 anni, escludendo chi aveva già ricevuto una diagnosi di Alzheimer. L’esito primario era l’insorgenza della malattia nel tempo. I pazienti sono stati seguiti fino a diagnosi, morte o fine copertura sanitaria. Il rischio è stato calcolato tramite modelli statistici avanzati, considerando quasi 20 condizioni mediche note per influenzare il rischio di demenza.
Ogni anno di trattamento con NRTI riduce il rischio di Alzheimer
I risultati mostrano che ogni anno aggiuntivo di assunzione di NRTI si associa a:
- −4% di rischio annuo in meno nella coorte VA (aHR 0,96; CI 0,93–0,99);
- −10% di rischio annuo in meno nella coorte MarketScan (aHR 0,897; CI 0,84–0,96).
Dopo correzione con propensity score matching per evitare distorsioni statistiche, i dati restano solidi:
- nella coorte VA: aHR 0,94 (CI 0,89–0,999);
- nella coorte MarketScan: aHR 0,87 (CI 0,78–0,97).
Anche l’analisi dei rischi “concorrenti” di mortalità ha confermato la protezione: nei veterani l’uso di NRTI si associa a una riduzione del 32–37% del rischio di Alzheimer, al netto della probabilità di decesso.
L’effetto protettivo non è stato osservato per altre classi di farmaci anti-HIV, come inibitori della proteasi o dell’integrasi. Questo rafforza l’ipotesi che a fare la differenza siano le proprietà antinfiammatorie degli NRTI, capaci di bloccare l’inflammasoma NLRP3, implicato nella degenerazione neuronale.
Secondo gli autori, questi farmaci interrompono il circolo vizioso tra accumulo di proteine tossiche (amiloide e tau), attivazione infiammatoria e morte cellulare. Effetti simili degli NRTI erano già noti in altre malattie, come la retinopatia diabetica e la degenerazione maculare senile.
Verso nuovi farmaci mirati: al via la sperimentazione del K-9
Lo studio apre la strada a nuovi farmaci che conservano solo l’azione anti-inflammasoma senza effetti antivirali o tossici. Il candidato più promettente è K-9, una molecola in fase di sperimentazione clinica (NCT06467435, NCT06781255), che nei modelli animali ha completamente ripristinato la memoria spaziale.
Due NRTI esistenti (lamivudina ed emtricitabina) sono già in test clinici per l’Alzheimer. La lamivudina ha mostrato buona tollerabilità e una riduzione di biomarcatori infiammatori in uno studio su 12 pazienti, anche se il rischio di effetti collaterali mitocondriali, come l’acidosi lattica, resta un problema in alcuni NRTI di vecchia generazione.
Limiti dello studio e implicazioni per la ricerca futura
Sebbene accuratamente condotto, lo studio è osservazionale e non prova una relazione di causa-effetto. Manca il monitoraggio clinico diretto della progressione della malattia e alcuni dati (genetici, cognitivi, ambientali) non erano disponibili. Tuttavia, la coerenza tra due popolazioni molto diverse (veterani e assicurati privati) rafforza la solidità dei risultati.
“Il nostro lavoro fornisce una base concreta per testare gli NRTI o derivati come il K-9 in studi clinici controllati sull’Alzheimer”, concludono gli autori. Una nuova via terapeutica, oggi inattesa, potrebbe partire da farmaci già approvati per tutt’altro.
Lo studio completo: