Indice
- 1 Mancano ancora dei dati oggettivi sugli effetti. Intanto la produzione mondiale di plastica triplicherà entro il 2060
- 2 Il primo studio sulle microplastiche nel cervello umano
- 3 Gli scienziati invitano alla cautela: “Speculazioni premature”
- 4 Mancano prove di danni alla salute, ma il rischio non può essere ignorato
- 5 Le microplastiche nei vasi sanguigni e il rischio cardiovascolare
- 6 Produzione di plastica in crescita: il problema si aggrava
Mancano ancora dei dati oggettivi sugli effetti. Intanto la produzione mondiale di plastica triplicherà entro il 2060
Le microplastiche non sono più solo un problema degli oceani. Minuscoli frammenti di plastica invisibili all’occhio umano sono stati rinvenuti nei punti più remoti del pianeta: dalle vette montuose ai fondali marini, passando per l’aria che respiriamo e il cibo che consumiamo ogni giorno. Ma la notizia che più ha scosso la comunità scientifica è la scoperta che questi frammenti riescono a insinuarsi nei nostri organi vitali. Sono stati individuati nei polmoni, nel cuore, nella placenta e persino nel cervello umano, riuscendo a superare la barriera ematoencefalica, il meccanismo di difesa più sofisticato del nostro organismo.
Nonostante l’inquietudine che questa scoperta può generare, gli esperti invitano alla prudenza. Non esistono ancora prove scientifiche che dimostrino con certezza i danni che le microplastiche potrebbero provocare nel cervello umano. Tuttavia, la loro diffusione capillare è diventata uno dei temi centrali nei negoziati per il primo trattato globale contro l’inquinamento da plastica. La prossima settimana a Ginevra si terrà un nuovo round di colloqui sotto l’egida delle Nazioni Unite, in cui la comunità internazionale cercherà di trovare soluzioni concrete a un problema che minaccia di trasformarsi in emergenza sanitaria globale.
Il primo studio sulle microplastiche nel cervello umano
La ricerca che ha sollevato il dibattito internazionale è stata pubblicata a febbraio sulla rivista Nature Medicine. Gli scienziati hanno analizzato campioni di tessuto cerebrale prelevati da 52 persone decedute nello stato del New Mexico: 28 morti nel 2016 e 24 nel 2023. I risultati hanno evidenziato un aumento della quantità di microplastiche nei tessuti nel corso degli anni. Matthew Campen, tossicologo statunitense e autore principale dello studio, ha dichiarato che nei campioni più recenti si è riscontrata la presenza di “una quantità di plastica paragonabile a un cucchiaio”.
Campen ha aggiunto che, stimando su un intero cervello, il quantitativo di microplastiche isolabili potrebbe aggirarsi attorno ai 10 grammi: “l’equivalente di un pastello a cera”. Questa affermazione ha fatto il giro del mondo, accendendo l’attenzione dei media e sollevando interrogativi inquietanti su quanto plastica stiamo inconsapevolmente accumulando nei nostri corpi.
Gli scienziati invitano alla cautela: “Speculazioni premature”
Nonostante il clamore mediatico, molti esperti hanno sollevato dubbi sull’effettiva portata dei risultati. “È una scoperta interessante, ma va interpretata con estrema cautela in attesa di verifiche indipendenti”, ha dichiarato Theodore Henry, tossicologo dell’Università Heriot-Watt in Scozia. A suo avviso, “le speculazioni sugli effetti dei frammenti di plastica sulla salute vanno ben oltre le prove attualmente disponibili”.
Anche Oliver Jones, professore di chimica alla RMIT University in Australia, si è detto scettico. “Non abbiamo dati sufficienti per trarre conclusioni definitive sulla presenza di microplastiche nei cervelli analizzati in New Mexico, figuriamoci a livello globale”, ha dichiarato. Jones ha inoltre giudicato “piuttosto improbabile” che il cervello umano possa contenere quantità di microplastiche superiori a quelle riscontrate nelle acque reflue non trattate, come ipotizzato nello studio.
Mancano prove di danni alla salute, ma il rischio non può essere ignorato
Un aspetto fondamentale emerso dagli studi è che le persone analizzate erano perfettamente sane prima del decesso, e i ricercatori stessi hanno ammesso che non esistono dati per affermare che le microplastiche abbiano provocato danni. “Se – e sottolineo se – le microplastiche si trovano effettivamente nei nostri cervelli, al momento non esistono prove di effetti nocivi”, ha ribadito Jones.
Tuttavia, il dibattito non si esaurisce qui. Un’indagine del 2022 condotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato che le prove attualmente disponibili sono “insufficienti per determinare i rischi per la salute umana”. Nonostante ciò, numerosi esperti invocano il principio di precauzione: attendere dati definitivi potrebbe significare agire troppo tardi.
Va segnalato che lo studio pubblicato su Nature Medicine è stato oggetto di alcune critiche metodologiche, tra cui la duplicazione di alcune immagini, come riportato dal portale The Transmitter. Tuttavia, gli scienziati coinvolti hanno dichiarato che tali errori non influenzano le conclusioni principali della ricerca.
Le microplastiche nei vasi sanguigni e il rischio cardiovascolare
Nonostante il quadro incerto, altri studi iniziano a delineare possibili correlazioni tra l’accumulo di microplastiche e l’insorgenza di patologie. Una ricerca pubblicata nel New England Journal of Medicine ha rivelato che la presenza di microplastiche nei vasi sanguigni è associata a un incremento del rischio di infarto, ictus e mortalità nei pazienti affetti da aterosclerosi. Va precisato che si tratta di studi osservazionali, i quali non consentono di stabilire un rapporto di causa-effetto diretto.
Esperimenti condotti su topi, come quello pubblicato a gennaio su Science Advances, hanno rilevato la capacità delle microplastiche di penetrare nel cervello dei roditori, causando rari coaguli ematici dovuti all’ostruzione di cellule. Tuttavia, gli stessi autori dello studio hanno sottolineato che i risultati sugli animali non sono automaticamente trasferibili all’essere umano.
Produzione di plastica in crescita: il problema si aggrava
Il vero dato allarmante riguarda i volumi di produzione globale. Dal 2000 la quantità di plastica prodotta nel mondo è raddoppiata, e le proiezioni indicano che entro il 2060 triplicherà rispetto ai livelli attuali. Questo significa che, senza misure drastiche, il fenomeno delle microplastiche sarà destinato a peggiorare esponenzialmente.
Il Barcellona Institute for Global Health, in un rapporto diffuso alla vigilia dei colloqui ONU, ha lanciato un appello urgente: “Le decisioni politiche non possono attendere la raccolta di dati completi”. L’istituto esorta a intervenire subito per limitare l’esposizione, migliorare le metodologie di valutazione del rischio e proteggere le fasce di popolazione più vulnerabili. “Dobbiamo affrontare questa emergenza prima che si trasformi in una crisi sanitaria su vasta scala”, conclude il documento.
