Indice
- 1 Nel nostro Paese quasi un paziente su dieci over 45 soffre di sintomi persistenti dopo il Covid: i dati di una crisi sottovalutata
- 2 Italia maglia nera in Europa per sintomi prolungati
- 3 Sintomi cronici e diagnosi incerte: il rebus del Long Covid
- 4 Chi rischia di più? Donne, giovani adulti e pazienti cronici
- 5 Fiducia in calo nel sistema sanitario
- 6 La risposta dell’OCSE: formazione e percorsi dedicati
Nel nostro Paese quasi un paziente su dieci over 45 soffre di sintomi persistenti dopo il Covid: i dati di una crisi sottovalutata
Cinque anni dopo lo scoppio del Covid-19, il mondo sembra aver superato la fase più critica della pandemia. Tuttavia, un’altra minaccia si insinua tra le pieghe dei sistemi sanitari: il Long Covid. Secondo una recente indagine dell’OCSE, realizzata nell’ambito della survey internazionale PaRIS, il 7,2% della popolazione over 45 che si rivolge ai servizi di cure primarie nei Paesi OCSE ha dichiarato di aver sofferto, o di soffrire ancora, di Long Covid. Ancora più allarmante, il 5,1% continua a convivere con sintomi che non passano, anche dopo molti mesi dalla guarigione dall’infezione acuta.
Questi numeri raccontano una realtà fatta di dolore e fatica: una crisi silenziosa e cronica che, pur non occupando più le prime pagine dei giornali, resta tutt’altro che risolta. “Il Long Covid è una pandemia nella pandemia”, si legge tra i commenti raccolti dall’OCSE, “una condizione spesso sottovalutata e gestita in modo frammentario nei diversi Paesi”. In questo scenario, l’Italia spicca come uno degli Stati con la maggiore incidenza di casi persistenti, tanto da superare la media europea e porsi tra le nazioni più colpite.
Italia maglia nera in Europa per sintomi prolungati
Tra tutti i Paesi OCSE coinvolti nell’indagine PaRIS, l’Italia registra una delle percentuali più alte di Long Covid nella popolazione over 45 che si affida alle cure primarie. Circa il 9% di questi pazienti ha ammesso di aver avuto sintomi prolungati dopo il Covid, un dato superiore alla media europea e che riflette la difficoltà del nostro sistema sanitario nel fronteggiare questa nuova sfida.
Ma il quadro peggiora ulteriormente se si guarda alle persone che, dopo l’infezione, hanno riferito sintomi compatibili con Long Covid: il 22,9% tra i pazienti italiani che hanno avuto il virus ha dichiarato di avere ancora oggi disturbi tipici della sindrome post-virale. È la cifra più alta registrata tra tutti i Paesi europei presi in esame dall’OCSE, segno che in Italia l’impatto della pandemia prosegue in modo meno visibile, ma non meno pesante.
Non basta: quasi il 4% dei pazienti italiani continua a soffrire di sintomi anche a più di un anno dalla malattia. Questo colloca l’Italia tra le nazioni a più alta incidenza di casi persistenti, seconda solo a Norvegia e Islanda. Un dato che deve far riflettere sulla necessità di percorsi di cura specifici e di un’attenzione costante al fenomeno.
Sintomi cronici e diagnosi incerte: il rebus del Long Covid
Il Long Covid, oggi, resta un mistero medico sotto molti aspetti. Si manifesta con un corteo di sintomi che vanno dalla stanchezza estrema ai dolori muscolari, dai problemi respiratori a disturbi neurologici e psicologici. Non mancano le testimonianze dirette: “La fatica cronica mi accompagna ogni giorno, e sembra non passare mai”, racconta uno dei pazienti coinvolti nella survey, “colpisce uno su cinque tra chi ha avuto Long Covid, il doppio rispetto agli altri pazienti”.
Eppure il riconoscimento della condizione resta incerto: solo due terzi dei Paesi OCSE adottano una definizione ufficiale (come quella dell’OMS o della NASEM) e meno della metà ha sviluppato percorsi di cura dedicati. Molte persone si trovano così in un limbo diagnostico e terapeutico, senza punti di riferimento chiari e senza un sostegno strutturato nella gestione dei sintomi a lungo termine.
Chi rischia di più? Donne, giovani adulti e pazienti cronici
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il Long Covid non colpisce solo gli anziani o le persone fragili. I dati OCSE parlano chiaro: sono soprattutto le donne tra i 45 e i 54 anni, spesso con un elevato livello di istruzione, a soffrire di sintomi prolungati. Il rischio cresce con l’aumentare delle patologie croniche già presenti, ma anche tra chi era in buona salute prima dell’infezione, il 6% dei pazienti segnala la persistenza dei sintomi.
A questi fattori si aggiunge la variabilità individuale della risposta al virus, che rende difficile stabilire strategie di prevenzione e trattamento efficaci su larga scala. “Il Long Covid resta una condizione che può colpire chiunque, anche in assenza di altri problemi di salute”, sottolineano gli autori della ricerca, evidenziando la necessità di un approccio più attento e personalizzato.
Fiducia in calo nel sistema sanitario
I numeri dell’indagine OCSE evidenziano anche un altro problema: la fiducia nel sistema sanitario cala tra i pazienti colpiti da Long Covid. Solo il 58% di loro si dice soddisfatto dell’assistenza ricevuta, contro il 64% tra chi non ha mai avuto sintomi persistenti. Un terzo dei pazienti racconta di aver dovuto ripetere più volte le stesse informazioni cliniche a professionisti diversi, segno di una scarsa integrazione tra i vari livelli di cura e di una gestione ancora troppo frammentata della condizione.
Nonostante, secondo i dati, il Long Covid non abbia un impatto diretto superiore sulla disoccupazione (il 13% è in malattia o senza lavoro, percentuale simile a quella dei cronici in generale), il peso della sindrome si fa sentire in termini di costi sanitari e qualità della vita. Circa il 3,5% dei pazienti manifesta sintomi oltre un anno dopo l’infezione, ponendo interrogativi urgenti sulla sostenibilità del sistema.
La risposta dell’OCSE: formazione e percorsi dedicati
Dai dati emerge con forza la necessità di un cambio di rotta. L’OCSE invita gli Stati a investire nella formazione del personale sanitario, per riconoscere tempestivamente i sintomi e attivare percorsi standardizzati di diagnosi e cura. Non si tratta solo di tutelare la salute dei singoli, ma di restituire fiducia nella medicina e nella capacità dei sistemi pubblici di affrontare sfide nuove e complesse come il Long Covid.
“La posta in gioco è alta: la salute pubblica e la fiducia dei cittadini”, conclude l’OCSE, rilanciando la sfida per una sanità più preparata e inclusiva.