Indice
- 1 Franchigia sulla prima casa raddoppiata a 100.000 euro: il governo promette un ISEE più leggero, ma i vantaggi reali toccano solo pochi
- 2 La nuova franchigia: cosa cambia davvero
- 3 Il precedente del 2025: tanto clamore, pochi effetti
- 4 Le vere ricadute sociali: tra percezione e realtà
- 5 Il nodo politico: una misura a doppia lettura
- 6 Quando entrerà in vigore e cosa resta da chiarire
- 7 L’ISEE si abbassa, ma solo per pochi
Franchigia sulla prima casa raddoppiata a 100.000 euro: il governo promette un ISEE più leggero, ma i vantaggi reali toccano solo pochi
Nel 2026 cambiano ancora le regole del calcolo ISEE e, come spesso accade, la notizia è rimbalzata ovunque come un “regalo alle famiglie”. In realtà, non è proprio così semplice. Dopo l’esclusione dei titoli di Stato e dei buoni fruttiferi fino a 50.000 euro introdotta nel 2025, la Legge di Bilancio 2026 punta ora al patrimonio immobiliare, innalzando la franchigia della prima casa da 52.500 a 100.000 euro. Tradotto: la casa di abitazione principale peserà meno sull’indicatore economico.
Un passo che, almeno in teoria, dovrebbe “alleggerire” la posizione di milioni di famiglie italiane e facilitare l’accesso a bonus e agevolazioni come l’Assegno Unico, i bonus sociali luce e gas, o le riduzioni universitarie per gli studenti. Ma dietro l’annuncio trionfale si nasconde un dato poco raccontato: la misura avvantaggia solo chi possiede immobili di valore medio-alto, mentre la grande maggioranza dei nuclei familiari non vedrà alcun cambiamento nel proprio ISEE. In sostanza, più che un taglio generalizzato, si tratta di un ritocco selettivo che rischia di premiare chi già dispone di un patrimonio immobiliare consistente.
La nuova franchigia: cosa cambia davvero
L’aumento della franchigia, quella soglia che “protegge” parte del valore della casa dal calcolo ISEE, è la vera novità della manovra. Oggi la prima casa è esclusa fino a 52.500 euro di valore catastale. Sopra questa cifra, viene conteggiato il 20% del valore eccedente, corretto in base alla composizione del nucleo familiare. Dal 2026 la franchigia dovrebbe salire a 100.000 euro, riducendo quindi la quota imponibile.
Chi ci guadagna davvero
Chi ha una casa dal valore catastale superiore agli attuali 52.500 euro trarrà un beneficio immediato. Se, per esempio, un’abitazione vale 150.000 euro, oggi 97.500 rientrano nel calcolo; con la nuova franchigia ne resteranno solo 50.000. Il risparmio sull’ISEE è netto, ma riguarda solo chi possiede immobili di valore elevato.
Per la maggioranza degli italiani, invece, l’effetto sarà nullo. Chi vive in una casa modesta o in piccoli centri dove i valori catastali sono bassi già oggi non supera la franchigia attuale, quindi non vedrà alcuna riduzione dell’indicatore.
Il precedente del 2025: tanto clamore, pochi effetti
Il parallelo con la misura del 2025 è inevitabile. Anche allora, il governo aveva promesso un ISEE più leggero eliminando dal conteggio titoli di Stato, libretti postali e buoni fruttiferi fino a 50.000 euro per nucleo familiare. Una novità che sembrava rivoluzionaria, ma che nella pratica ha favorito solo una ristretta minoranza: chi aveva effettivamente risparmi consistenti in banca o alle Poste.
Le famiglie con redditi bassi, che raramente possiedono risparmi di tale entità, non hanno percepito alcun beneficio. Lo stesso schema rischia di ripetersi nel 2026: una norma dal grande impatto mediatico ma con effetti reali concentrati sui ceti medi e medio-alti.
Il governo parla di “misura di equità”, ma i numeri raccontano altro. Secondo i dati più recenti dell’INPS, oltre il 70% dei nuclei che richiedono l’ISEE possiede immobili con valori catastali inferiori a 60.000 euro. Per loro, la franchigia attuale è già sufficiente a neutralizzare l’impatto della casa.
Chi beneficerà del nuovo sistema sarà quindi una fascia molto più ristretta: famiglie proprietarie di case in grandi città o zone ad alto valore catastale, dove anche un appartamento medio può superare facilmente la soglia dei 100.000 euro. In questi casi, l’aumento della franchigia comporterà un calo reale dell’ISEE, con conseguente accesso facilitato a bonus e prestazioni.
Effetti indiretti sui bonus
Un ISEE più basso significa soglie più favorevoli anche per contributi proporzionali, come l’Assegno Unico o i sussidi per il diritto allo studio. Ma, ancora una volta, si tratta di vantaggi che amplificano le differenze anziché ridurle: chi ha più patrimonio, guadagna di più anche sul piano dei benefici fiscali.
Il nodo politico: una misura a doppia lettura
Sul piano politico, la scelta è presentata come un sostegno alle famiglie. Ma dietro la retorica del “più soldi in tasca” si nasconde un obiettivo più complesso: riequilibrare il peso del patrimonio immobiliare dopo anni in cui la casa di proprietà è stata penalizzata nei calcoli.
Secondo alcuni economisti, la riforma potrebbe essere letta come un segnale di “pacificazione fiscale” verso il ceto medio, quello che più ha risentito dell’inflazione e dell’aumento dei mutui. Tuttavia, resta il problema di fondo: l’ISEE non misura solo la ricchezza, ma la capacità reale di sostenere le spese familiari. E se si alleggerisce troppo il peso dei patrimoni, il rischio è che famiglie con beni consistenti risultino “povere” sulla carta, accedendo a bonus nati per chi è davvero in difficoltà.
Quando entrerà in vigore e cosa resta da chiarire
La misura entrerà in vigore dal 1° gennaio 2026, salvo modifiche nel testo definitivo della Legge di Bilancio. Resta da definire l’esatto valore della nuova franchigia e se verranno introdotte soglie differenziate per aree geografiche o numero di componenti del nucleo familiare.
Non è escluso, inoltre, che possano arrivare correttivi per evitare distorsioni tra chi possiede immobili di grande valore e chi vive in zone a basso reddito. L’INPS e il Ministero del Lavoro stanno già valutando simulazioni sui nuovi calcoli.
L’ISEE si abbassa, ma solo per pochi
L’aumento della franchigia sulla prima casa è una misura apparentemente “popolare”, ma in realtà selettiva e diseguale. Rende più leggero l’ISEE di chi ha case più costose, mentre lascia immutata la situazione delle famiglie a reddito basso o medio-basso. Nel 2025 è toccato ai titoli di Stato, nel 2026 alla prima casa: due interventi diversi, ma con lo stesso esito. Molta visibilità politica, pochi effetti concreti per la maggioranza.
