Indice
- 1 Uno studio del MIT svela il rovescio della medaglia: l’uso delle Intelligenze artificiali riduce l’attività cerebrale e il pensiero autonomo
- 2 Tre gruppi, tre strumenti e un cervello monitorato
- 3 Più tecnologia, meno connettività nel cervello umano
- 4 Dopo ChatGPT, il cervello fa più fatica a lavorare
- 5 Intelligenza biologica e IA: un equilibrio da ritrovare
Uno studio del MIT svela il rovescio della medaglia: l’uso delle Intelligenze artificiali riduce l’attività cerebrale e il pensiero autonomo
L’intelligenza artificiale è ormai parte della nostra quotidianità. Viene impiegata in ufficio, nella scuola, persino nella scrittura personale. Ma mentre ci si abitua alla sua comodità, cresce il timore che la mente umana possa iniziare a rallentare sotto il peso dell’automazione. A lanciare un segnale d’allarme è un recente studio del MIT Media Lab, che mette a fuoco gli effetti collaterali di ChatGPT sul cervello umano. Il rischio non è solo una dipendenza cognitiva, ma la progressiva rinuncia alla propria autonomia mentale. Secondo i ricercatori, affidarsi troppo agli assistenti digitali riduce la capacità di generare idee originali, ricordare concetti e attivare le aree cerebrali deputate al pensiero critico.
Lo studio è stato condotto dalla neuroscienziata Natalia Kosmyna e si intitola: “Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura”. I risultati, pubblicati di recente, evidenziano un dato preoccupante: chi usa ChatGPT attiva il cervello molto meno rispetto a chi ragiona senza supporti digitali. E quando ci si abitua, tornare indietro è difficile.
Tre gruppi, tre strumenti e un cervello monitorato
Il team del MIT ha coinvolto 54 volontari divisi in tre gruppi distinti, ciascuno sottoposto a un protocollo sperimentale durato tre mesi. A ogni partecipante è stato chiesto di scrivere tre brevi testi in tre sessioni separate, ma con strumenti diversi a disposizione.
Nel primo gruppo, gli utenti dovevano scrivere senza alcun aiuto esterno, solo con le proprie idee.
Il secondo gruppo poteva usare Google per cercare informazioni.
Il terzo gruppo aveva accesso esclusivo a ChatGPT.
Durante ogni esercizio di scrittura, i ricercatori monitoravano l’attività cerebrale tramite elettrodi. Obiettivo: valutare la connettività tra le aree corticali coinvolte nel processo cognitivo. I dati raccolti non lasciano spazio a dubbi: più il supporto digitale era avanzato, meno il cervello lavorava in autonomia.
Più tecnologia, meno connettività nel cervello umano
Dopo la prima sessione, i risultati hanno mostrato una netta differenza nella connettività cerebrale tra i gruppi. Chi ha scritto senza aiuti ha attivato in modo pieno la propria rete neuronale. Al contrario, il gruppo che usava Google ha mostrato una riduzione di connettività tra il 34% e il 48% rispetto al primo gruppo. Ma il dato più allarmante è emerso nel gruppo ChatGPT: la connettività cerebrale è risultata inferiore del 55%.
Questi dati suggeriscono che l’uso di strumenti di intelligenza artificiale riduce drasticamente lo sforzo cognitivo richiesto per svolgere un compito. Non solo: i partecipanti che hanno usato ChatGPT hanno scritto testi molto simili tra loro e non ricordavano le frasi prodotte. Un segnale chiaro che indica una forma di disimpegno mentale.
Dopo ChatGPT, il cervello fa più fatica a lavorare
Nell’ultima fase dell’esperimento, i ricercatori hanno scambiato i partecipanti tra i gruppi, invertendo i metodi di scrittura. Chi aveva lavorato per mesi con ChatGPT si è trovato a dover scrivere senza supporti. Il risultato? Difficoltà evidenti a completare i compiti e una connettività cerebrale ancora più debole.
Secondo Kosmyna, questo fenomeno è il segno di un debito cognitivo: una forma di impoverimento mentale causata dall’esternalizzazione delle proprie funzioni intellettive. La ricercatrice spiega: «Quando i partecipanti riproducono dei suggerimenti dell’intelligenza artificiale senza verificarne l’esattezza o la pertinenza, rinunciano non solo ad appropriarsi delle idee espresse, ma rischiano di interiorizzare prospettive superficiali o distorte».
Questo effetto è simile a quello che si verifica con l’uso eccessivo del GPS: più lo si utilizza, meno si sviluppa il senso dell’orientamento. La stessa dinamica sembra valere per le capacità di scrittura e ragionamento.
Intelligenza biologica e IA: un equilibrio da ritrovare
Lo studio del MIT non demonizza l’intelligenza artificiale, ma ne invita a un uso critico e consapevole. Strumenti come ChatGPT possono essere utili se impiegati per arricchire il pensiero umano, non per sostituirlo. Altrimenti il rischio è quello di una regressione cognitiva silenziosa ma costante.
Non si tratta di tornare indietro, ma di trovare un equilibrio tra supporto tecnologico e attivazione del pensiero autonomo. Se ci si affida ciecamente a un assistente, si perde l’occasione di esercitare il cervello. E senza esercizio, anche le capacità più brillanti si affievoliscono. L’intelligenza artificiale non deve diventare una stampella, ma un trampolino verso un pensiero più lucido.