Indice
- 1 A Hanford nasce il più grande impianto al mondo per la vetrificazione nucleare. Un esperimento da 20.000 litri al giorno che potrebbe cambiare il futuro delle bonifiche
- 2 Da serbatoi corrosi a blocchi eterni: una rinascita radioattiva
- 3 La svolta dopo mesi di tensioni e incertezze politiche
- 4 Un progetto da 30 anni e 17 miliardi di dollari
- 5 Dalla Guerra fredda al futuro sostenibile del nucleare
A Hanford nasce il più grande impianto al mondo per la vetrificazione nucleare. Un esperimento da 20.000 litri al giorno che potrebbe cambiare il futuro delle bonifiche
Negli Stati Uniti non si parla più solo di stoccaggio, ma di trasformazione definitiva delle scorie radioattive. Dopo oltre vent’anni di progettazione e test, il Waste Treatment and Immobilization Plant (WTP) di Hanford, nello Stato di Washington, è ufficialmente operativo. L’impianto, costruito da Bechtel per il Dipartimento dell’Energia (DOE), rappresenta una svolta epocale: qui, milioni di litri di rifiuti nucleari generati dalla Guerra fredda vengono fusi e trasformati in vetro solido, stabile e sicuro per millenni.
Il processo, definito “vetrificazione”, consiste nel mescolare i rifiuti radioattivi con sostanze vetrificanti e riscaldarli fino a 1.150 °C, creando una matrice di vetro in grado di inglobare gli isotopi radioattivi e renderli inerti. Il composto fuso viene poi colato in contenitori d’acciaio sigillati, pronti per essere conservati in sicurezza all’interno del sito stesso. È un passo decisivo in un piano di bonifica che dura da più di trent’anni e che, fino a oggi, sembrava non avere una fine concreta.
Da serbatoi corrosi a blocchi eterni: una rinascita radioattiva
Ogni giorno il WTP potrà trattare circa 20.000 litri di rifiuti liquidi provenienti da vecchi serbatoi sotterranei, molti dei quali compromessi da perdite e corrosione. Il sito di Hanford, un tempo cuore pulsante della produzione di plutonio per l’arsenale nucleare americano, era considerato uno dei luoghi più contaminati del pianeta.
Con la nuova tecnologia, invece, le scorie non vengono più sepolte, ma immobilizzate in vetro, un materiale capace di resistere al tempo e alle intemperie. “La differenza rispetto al cemento è abissale”, spiegano gli ingegneri del DOE: il vetro intrappola gli isotopi in modo permanente, evitando che possano filtrare nel terreno o raggiungere le falde acquifere.
Per i tecnici e i residenti della zona è una sorta di liberazione. Dopo decenni di lavori, rinvii e polemiche, Hanford diventa finalmente un modello di riferimento mondiale per la gestione etica dei rifiuti nucleari.
La svolta dopo mesi di tensioni e incertezze politiche
L’avvio dell’impianto non è stato semplice. A settembre, il licenziamento del responsabile ad interim del programma ambientale federale aveva fatto temere un ritorno al metodo del grout, ossia la solidificazione delle scorie in composti cementizi, ritenuti molto meno stabili.
La decisione del Dipartimento dell’Energia di confermare la linea Bechtel ha dunque rassicurato esperti e comunità locali. “È un segnale forte di fiducia nella scienza e nella tecnologia americana”, ha commentato un portavoce del DOE. In effetti, la vetrificazione è già stata sperimentata con successo in Francia e nel Regno Unito, ma mai su una scala così colossale.
Con l’entrata in funzione dei forni da 300 tonnellate, Hanford torna così a essere un sito strategico, ma questa volta non per la produzione di armi, bensì per la neutralizzazione definitiva del loro lascito tossico.
Un progetto da 30 anni e 17 miliardi di dollari
Il programma di bonifica di Hanford risale agli anni Novanta e rappresenta uno dei più costosi interventi ambientali della storia americana, con un budget che supera i 17 miliardi di dollari. Da allora, sono state costruite decine di strutture ausiliarie, condotti di scarico e sistemi di trattamento. Il traguardo odierno non è solo simbolico, ma segna un cambio di paradigma nella lotta all’inquinamento nucleare.
Nei prossimi mesi il team di Bechtel continuerà ad alimentare i forni con i rifiuti liquidi stoccati in oltre 170 serbatoi, trasformandoli in blocchi di vetro che saranno poi trasferiti nel vicino impianto di stoccaggio a lungo termine. L’obiettivo è quello di raggiungere la piena capacità operativa entro il 2026, con una produzione continua e automatizzata.
Gli Stati Uniti intendono così dimostrare che il nucleare non è solo una minaccia, ma anche una sfida tecnologica capace di generare soluzioni innovative. Non un ritorno al passato, ma un modo per riscriverne i capitoli più pericolosi.
Dalla Guerra fredda al futuro sostenibile del nucleare
Il sito di Hanford, nato nel 1943 per produrre il plutonio utilizzato nella bomba di Nagasaki, si prepara a una seconda vita. La sua trasformazione in “fabbrica del vetro” è una potente metafora del passaggio dal nucleare militare a quello ecologico. L’obiettivo finale, secondo il DOE, è rendere la bonifica autonoma, continua e replicabile anche in altri siti contaminati del Paese.
Se il progetto dovesse mantenere le promesse, Hanford potrebbe diventare il prototipo mondiale per la chiusura definitiva dell’era delle scorie. Una vendetta del vetro sulla radioattività, dove la materia più fragile dell’uomo diventa la più resistente della Terra.
