Cellule tumorali dirottano neuroni per alimentare la propria crescita

Il Brain Prize 2025 è stato assegnato ai neuro-oncologi Michelle Monje e Frank Winkler per aver aperto la strada al campo della neuro-oncologia del cancro

Il glioblastoma, il tumore cerebrale più comune e aggressivo, è noto per la sua recidiva quasi inevitabile e per la prognosi drammatica: la sopravvivenza media è inferiore a 18 mesi e quella a 10 anni è prossima allo zero. Ma oggi la ricerca ha fatto un passo avanti decisivo nella comprensione della sua crescita. I neuro-oncologi Michelle Monje (Stanford University) e Frank Winkler (Università di Heidelberg) hanno ricevuto il Brain Prize 2025 – il più prestigioso riconoscimento mondiale per la ricerca neuroscientifica – per aver scoperto che il glioblastoma si serve attivamente dei neuroni per alimentarsi e crescere. Le loro scoperte, maturate in parallelo ma in modo indipendente, hanno dato vita a un nuovo campo di studio: la neuro-oncologia del cancro.

Come racconta The Scientist, questo riconoscimento da 10 milioni di corone danesi (circa 1,4 milioni di dollari) arriva dopo anni di battaglie cliniche contro un tumore che sfugge ai bisturi e resiste alle terapie. La ragione? Fino a poco tempo fa, non si sapeva che il tumore instaurasse vere e proprie connessioni neuronali per diffondersi all’interno del cervello. Una scoperta che ha aperto nuove prospettive terapeutiche.

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Interventi complessi e recidive inevitabili

I limiti della chirurgia senza la neuro-oncologia

Il neurochirurgo Ola Rominiyi, dell’Università di Sheffield, sa bene quanto sia difficile operare un glioblastoma. Prima di ogni intervento i pazienti assumono il cosiddetto “pink drink”, il 5-aminolevulinico (5-ALA), che fa brillare di rosa le cellule tumorali sotto la luce fluorescente. Anche con questa tecnologia, la decisione più ardua rimane sempre la stessa: “Dove fermarsi per rimuovere il massimo del tumore senza danneggiare il cervello sano?”, si chiede Rominiyi.

Il nucleo centrale del tumore è facilmente individuabile, ma i margini sono insidiosi. Spesso il tessuto apparentemente sano nasconde cellule tumorali infiltranti, come ha rilevato lo stesso Rominiyi dopo aver prelevato campioni a diversi centimetri dalla massa tumorale visibile: “Dal 10 al 15% delle cellule erano ancora tumorali”. Questo spiega perché la recidiva sia quasi garantita entro un anno, nonostante la chirurgia più accurata. Prima degli studi di Monje e Winkler, i chirurghi operavano al buio, ignari del modo in cui il tumore si intrecciasse con il tessuto cerebrale.

Tumori con tentacoli: i microtubi neuronali del glioblastoma

Nel 2014, Frank Winkler decide di concentrarsi sui gliomi e usa una tecnica innovativa: la microscopia multifotonica, che consente di osservare cellule in vivo a grande profondità. Trapiantando cellule staminali tumorali umane in topi con finestre craniche, osserva un fenomeno inquietante: le cellule tumorali emettono lunghi filamenti simili a radici, che invadono il cervello. Li chiamerà microtubi tumorali.

Il collega Felix Sahm, neuropatologo, conferma subito il sospetto: “Sono ovunque”, esclama dopo aver esaminato i tessuti. Queste strutture non solo facilitano la diffusione del tumore, ma stabiliscono connessioni funzionali con i neuroni, che verranno successivamente identificate come sinapsi tumorali. È un salto di paradigma: i tumori non solo crescono nel cervello, ma diventano parte del suo circuito.

L’intuizione di Monje: il cancro “si nutre” dell’attività cerebrale

Dalla danza alla cattedra: perché i tumori colpiscono certe aree?

Durante i suoi studi a Stanford, Michelle Monje segue un caso di glioma pediatrico incurabile, esperienza che la segnerà profondamente. Inizia a sospettare che il tumore cresca nelle aree più attive e plastiche del cervello, come quelle coinvolte nel recupero post-ictus. Osserva che i tumori colpiscono aree legate all’attività del paziente: “Danzatori colpiti nel cervelletto, professori nelle aree linguistiche”.

Nel 2015, con un laboratorio proprio e grazie all’optogenetica, Monje dimostra che l’attività neuronale alimenta la crescita tumorale. Le cellule tumorali sfruttano molecole come neuroligin-3 per crescere e diffondersi. Durante una visita a Heidelberg, racconta i suoi risultati a Winkler. Lui le risponde: “No, Michelle, credo che abbiamo scoperto entrambi qualcosa di folle”. Avevano osservato lo stesso meccanismo da due angolazioni diverse, dando così forza alla nascita di un nuovo campo: la cancer neuroscience.

Le sinapsi del cancro: nuove armi contro i tumori cerebrali

Nel 2019, i due gruppi pubblicano contemporaneamente su Nature una scoperta sconvolgente: i tumori formano vere e proprie sinapsi con i neuroni, identiche a quelle eccitatorie. Queste connessioni permettono ai tumori di “succhiare” l’attività elettrica cerebrale, proprio come un vicino che si attacca abusivamente alla tua rete elettrica. I team scoprono anche cellule pacemaker tumorali, che rispondono a impulsi di calcio e stimolano la crescita dell’intero tumore. Distruggerle, sia fisicamente che farmacologicamente, ne rallenta drasticamente lo sviluppo.

Oggi Winkler sta testando in pazienti un farmaco antiepilettico, Perampanel, che inibisce i recettori usati dal tumore per connettersi ai neuroni. Monje, invece, lavora a una molecola capace di bloccare l’accesso alla neuroligin-3. Entrambi credono che la soluzione non sarà unica, ma combinata: “Non credo che ci sarà un proiettile d’argento”, dice Rominiyi.

Dalle sinapsi ai nervi periferici: una scoperta universale

Secondo Winkler, le implicazioni di queste scoperte vanno ben oltre il cervello. “Il nostro corpo è pieno di nervi… e anche i tumori fuori dal cervello possono usarli per crescere”, spiega. La stessa logica sinaptica potrebbe spiegare la crescita tumorale in altri organi. Il paragone con l’angiogenesi è calzante: come i tumori si creano un sistema vascolare per nutrirsi, ora sappiamo che possono anche sfruttare l’attività neuronale per crescere.

Il campo sta ricevendo ampio consenso dalla comunità scientifica. I risultati paralleli dei due laboratori hanno fornito una base solida e replicabile. Per medici come Rominiyi, queste scoperte accendono una luce sul cammino verso terapie più efficaci e personalizzate, capaci di colpire il tumore senza intaccare le funzioni cerebrali essenziali. “Dobbiamo trovare il modo per rompere i legami tra cellule tumorali e neuroni, senza danneggiare ciò che ci rende umani”, conclude.

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