Indice
- 1 Dimostrata l’estrema pericolosità dell’erbicida, anche nelle dosi ritenute oggi sicure
- 2 Studio pionieristico: l’intero ciclo vitale sotto osservazione
- 3 Tumori in aumento anche a dosi basse: i risultati sono netti
- 4 Uno studio destinato a cambiare le normative
- 5 Dove si usa ancora il glifosato oggi
- 6 L’Italia guida la battaglia scientifica sul glifosato
- 7 Perché l’Europa continua a rinviare le decisioni
Dimostrata l’estrema pericolosità dell’erbicida, anche nelle dosi ritenute oggi sicure
Il glifosato torna al centro del dibattito internazionale dopo la pubblicazione di uno studio che potrebbe cambiare radicalmente la percezione dei suoi effetti. Una ricerca durata oltre dieci anni e condotta dall’Istituto Ramazzini di Bologna, tra i principali centri indipendenti di ricerca ambientale in Europa, ha fornito nuove e solide evidenze sulla cancerogenicità del glifosato, anche in quantità finora considerate sicure. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista Environmental Health ed è stato guidato dalla biologa e scienziata Fiorella Belpoggi, figura di rilievo nella Fondazione Italiana Biologi (FIB). “Non abbiamo mai mollato e i nostri sforzi sono stati premiati”, ha dichiarato la dottoressa Belpoggi. Lo studio rafforza la tesi già sostenuta dall’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC), che nel 2015 aveva classificato il glifosato come “probabile cancerogeno per l’uomo”, a differenza dell’EFSA che aveva minimizzato i rischi. Con questo nuovo lavoro, il dibattito scientifico si riaccende con maggiore intensità.
Studio pionieristico: l’intero ciclo vitale sotto osservazione
La pubblicazione si inserisce nel più ampio Studio Globale sul Glifosato (GGS), progetto promosso proprio dall’Istituto Ramazzini per valutare, con criteri rigorosi e indipendenti, la tossicità del glifosato e delle sue formulazioni commerciali (GBH).
Gli esperimenti sono stati condotti su ratti Sprague-Dawley, maschi e femmine, esposti sin dal sesto giorno di gestazione e per tutta la durata della loro vita a tre differenti dosi: la dose giornaliera accettabile (ADI) definita dall’Unione Europea, ovvero 0,5 mg/kg/giorno, una intermedia di 5 mg/kg/giorno e una elevata, corrispondente al livello senza effetti avversi osservati (NOAEL), pari a 50 mg/kg/giorno. Il glifosato è stato somministrato attraverso l’acqua potabile, replicando le modalità di esposizione umana indiretta.
In parallelo, sono stati testati anche due erbicidi commerciali contenenti glifosato, a dosaggi equivalenti. Questo approccio ha permesso di confrontare l’effetto della molecola singola rispetto ai prodotti di largo consumo.
Tumori in aumento anche a dosi basse: i risultati sono netti
I risultati sono stati inequivocabili: tutti i gruppi trattati hanno mostrato un aumento significativo e dose-dipendente di tumori benigni e maligni in diversi organi, tra cui fegato, ovaie, tiroide, pelle, pancreas, ghiandola mammaria, sistema nervoso, vescica urinaria e milza. Alcune neoplasie risultano essere molto rare nei ratti Sprague-Dawley, fatto che rende ancora più rilevante il dato emerso. Gli autori dello studio affermano che “mentre il glifosato da solo è in grado di causare numerosi tumori benigni e maligni, i coformulanti dei GBH possono aumentarne la cancerogenicità, in particolare nel caso della leucemia”.
Il documento sostiene esplicitamente la posizione dell’IARC, indicando che esistono “prove sufficienti di cancerogenicità [del glifosato] negli animali da esperimento”. Le evidenze fornite risultano coerenti anche con studi epidemiologici condotti sugli esseri umani esposti alla sostanza.

Uno studio destinato a cambiare le normative
Il valore di questa ricerca non risiede soltanto nella qualità scientifica e nella durata del progetto, ma anche nella sua indipendenza rispetto ai soggetti industriali. Gli esperimenti sono stati condotti in assenza di conflitti di interesse, seguendo protocolli trasparenti e replicabili.
Secondo gli autori, è ora urgente avviare nuove indagini epidemiologiche e studi meccanicistici sull’uomo, per giungere a una valutazione definitiva del rischio sanitario. In attesa di ulteriori conferme, le evidenze attuali giustificano una revisione immediata delle normative europee e internazionali che ancora oggi permettono l’utilizzo del glifosato su larga scala.
Le parole dei ricercatori sono chiare: “i dati indicano che il rischio esiste anche a dosi considerate sicure. Questo deve far riflettere chi prende decisioni politiche in materia di salute pubblica”. Una posizione che chiama in causa direttamente i regolatori, troppo spesso condizionati da pressioni economiche e industriali.
Dove si usa ancora il glifosato oggi
Nonostante i dubbi sollevati dalla comunità scientifica, il glifosato è tuttora impiegato in modo estensivo. Viene usato soprattutto in agricoltura per eliminare le erbe infestanti prima della semina di colture come soia, mais, grano e riso. Il suo utilizzo è diffuso anche nella viticoltura, nella frutticoltura e nella gestione degli spazi verdi urbani, compresi bordi stradali e aree pubbliche.
In Europa, nonostante il parere dell’IARC, la Commissione europea ha rinnovato nel 2023 l’autorizzazione per altri 10 anni, con l’opposizione di diversi Paesi tra cui Francia, Austria e Lussemburgo. In Italia l’uso è consentito, ma alcune Regioni, come il Trentino-Alto Adige e la Toscana, hanno introdotto restrizioni locali.
Questo impiego così ampio, anche in contesti prossimi alle aree abitate, rende urgente un riesame delle soglie di sicurezza e delle condizioni di utilizzo, alla luce delle nuove evidenze emerse.
L’Italia guida la battaglia scientifica sul glifosato
Il fatto che lo studio arrivi da un istituto italiano aggiunge un elemento di rilievo nel contesto europeo. In un periodo in cui l’Italia si interroga su come coniugare produttività agricola e sostenibilità ambientale, l’Istituto Ramazzini rappresenta un baluardo di ricerca indipendente, capace di influenzare non solo il dibattito scientifico ma anche quello politico. Mentre in sede UE si discute il rinnovo dell’autorizzazione del glifosato, il nostro Paese può ora far valere un contributo oggettivo e rigoroso.
La speranza è che l’attenzione mediatica e istituzionale generata da questo studio possa portare a un’inversione di rotta. La salute pubblica e la tutela ambientale non possono più essere subordinate agli interessi economici delle multinazionali chimiche.
Perché l’Europa continua a rinviare le decisioni
Nonostante le crescenti evidenze scientifiche, l’Unione Europea ha più volte rinviato una decisione definitiva sul glifosato. Il motivo principale è lo scontro tra interessi economici e tutela della salute. Da una parte, potenti lobby dell’agrochimica spingono per mantenere l’autorizzazione, sostenendo che non esistano prove conclusive contro la sicurezza del prodotto. Dall’altra, una parte della comunità scientifica e molti Stati membri chiedono precauzione e trasparenza.
Le agenzie europee, come EFSA ed ECHA, hanno spesso fornito valutazioni meno allarmanti rispetto all’IARC. Questo ha permesso alla Commissione di giustificare proroghe tecniche e rinnovi temporanei, evitando un vero divieto. Nel frattempo, il principio di precauzione previsto dai Trattati europei viene spesso disatteso, e la mancanza di un fronte politico compatto continua a rallentare l’adozione di normative più severe.