Indice
- 1 Uno studio svela che la sola esperienza Covid può aver accelerato l’invecchiamento cerebrale, anche nei non contagiati
- 2 Gli effetti neurologici del Covid: più complessi del previsto
- 3 L’esperienza della pandemia ha lasciato cicatrici neurologiche
- 4 Le parole degli autori: speranza e attenzione per il futuro
- 5 Pandemia e cervello, una relazione da monitorare
Uno studio svela che la sola esperienza Covid può aver accelerato l’invecchiamento cerebrale, anche nei non contagiati
La pandemia di COVID-19 potrebbe aver accelerato l’invecchiamento cerebrale delle persone, anche di quelle che non hanno mai contratto il virus. È quanto emerge da un nuovo studio pubblicato su Nature Communications e condotto dall’Università di Nottingham. Secondo gli autori, vivere durante l’emergenza sanitaria globale ha comportato effetti misurabili sulla salute del cervello: “Ciò che mi ha sorpreso di più è stato vedere un’accelerazione dell’invecchiamento cerebrale anche nei partecipanti mai infettati”, ha dichiarato il ricercatore principale Ali-Reza Mohammadi-Nejad. A rendere più marcati gli effetti sarebbero stati l’isolamento sociale, l’incertezza economica e lo stress collettivo, elementi che hanno caratterizzato la vita quotidiana durante il lockdown. I dati raccolti attraverso scansioni cerebrali longitudinali su quasi mille adulti sani hanno mostrato un aumento della “brain age”, l’età apparente del cervello, rispetto all’età cronologica, soprattutto negli anziani, negli uomini e nei soggetti provenienti da contesti socioeconomici svantaggiati.
Tuttavia, lo studio sottolinea che la sola esposizione alla pandemia, senza infezione, non sembra provocare sintomi cognitivi rilevabili. È stato osservato un calo di abilità mentali, come la flessibilità cognitiva e la velocità di elaborazione, solo nei partecipanti che hanno effettivamente contratto il virus tra le due scansioni. Una notizia rassicurante è che gli effetti osservati potrebbero essere reversibili, anche se occorreranno ulteriori studi per confermarlo.
Gli effetti neurologici del Covid: più complessi del previsto
Lo studio, sostenuto dal National Institute for Health and Care Research (NIHR) e dal Medical Research Council (MRC) tramite il programma DEMISTIFI, ha coinvolto un team multidisciplinare di esperti in neuroimaging e neuroscienze computazionali. Il cuore dell’analisi è rappresentato da dati ottenuti nell’ambito del progetto UK Biobank, che raccoglie informazioni mediche e genetiche di lungo periodo su centinaia di migliaia di cittadini britannici.
I ricercatori hanno confrontato le scansioni cerebrali di alcuni partecipanti prima e dopo la pandemia, mentre altri erano stati sottoposti a esami solo nel periodo pre-Covid. Grazie a sofisticate tecniche di intelligenza artificiale e modelli predittivi, è stato possibile stimare l’”età cerebrale” di ciascun individuo. Il modello utilizzato è stato allenato su oltre 15.000 soggetti sani, senza patologie concomitanti, per garantire un’accurata stima dell’invecchiamento cerebrale fisiologico.
“Questa ricerca ci ricorda che la salute del cervello non è influenzata solo dalle malattie, ma anche dall’ambiente in cui viviamo ogni giorno”, ha spiegato Dorothee Auer, professoressa di neuroimaging e coautrice senior dello studio.
L’esperienza della pandemia ha lasciato cicatrici neurologiche
Uno degli aspetti più rilevanti emersi è il fatto che il semplice vivere la pandemia, senza essere colpiti direttamente dal virus, ha comportato un impatto misurabile sul cervello. Il team ha infatti rilevato che, nella popolazione studiata, l’invecchiamento cerebrale apparente è risultato più accentuato nei soggetti valutati dopo il 2020 rispetto a quelli analizzati interamente prima dell’emergenza sanitaria.
Questa accelerazione è stata più marcata negli individui anziani, nel sesso maschile e nei gruppi socioeconomicamente più fragili, evidenziando così come fattori ambientali e sociali possano interagire con la biologia cerebrale. L’invecchiamento osservato si manifesta a livello morfologico e funzionale, ma non è detto che porti a un deterioramento clinico, almeno nel breve periodo.
Le parole degli autori: speranza e attenzione per il futuro
Nel commentare i risultati, Stamatios Sotiropoulos, professore di neuroimaging computazionale e co-leader dello studio, ha sottolineato l’unicità dell’opportunità di analisi: “Grazie ai dati longitudinali raccolti dal UK Biobank, abbiamo potuto osservare come eventi di portata globale possano influenzare la struttura cerebrale”.
Anche la professoressa Auer ha voluto sottolineare un aspetto positivo: “Non possiamo ancora dire se i cambiamenti siano reversibili, ma è certamente possibile, ed è un pensiero incoraggiante”. In altre parole, la plasticità cerebrale potrebbe consentire una forma di “recupero” nel tempo, una volta che le condizioni di vita torneranno stabili e meno stressanti.
Il messaggio che emerge è quindi duplice: da un lato la pandemia ha avuto effetti neurobiologici misurabili, dall’altro non si tratta di un destino immutabile. La prevenzione dello stress cronico, la qualità dell’ambiente sociale e la resilienza psicologica potrebbero diventare strumenti chiave per proteggere il cervello anche in futuro.
Pandemia e cervello, una relazione da monitorare
In definitiva, lo studio dell’Università di Nottingham aggiunge un tassello importante alla comprensione degli effetti indiretti della pandemia. Non serve contrarre il virus per risentirne a livello neurologico: anche l’ambiente in cui si vive, il grado di incertezza, le limitazioni sociali e le paure condivise possono alterare — seppur in modo subclinico — l’equilibrio cerebrale.
Serviranno ulteriori studi per capire se e come questi cambiamenti si consolidano o si attenuano col tempo. Ma una cosa è certa: la salute mentale e cerebrale merita attenzione quanto quella fisica, soprattutto in tempi di crisi collettiva. E forse, la lezione più grande è che il cervello non dimentica, nemmeno quando il virus non lo ha toccato direttamente.
Fonte:
Nature Communications
