E anche i candidati preferiscono l’intelligenza artificiale ai recruiter umani: più equità, più assunzioni e meno pressioni psicologiche
Immaginare un colloquio di lavoro condotto da un’intelligenza artificiale non è più fantascienza. Un tempo, la sola idea poteva sembrare fredda o impersonale, ma oggi i dati raccontano un’altra storia. Un’indagine condotta dalla Booth School of Business dell’Università di Chicago ha preso in esame oltre 67.000 colloqui di lavoro nelle Filippine, focalizzati soprattutto su posizioni nel settore del customer service. Il risultato? I candidati hanno mostrato performance migliori e un grado di soddisfazione sorprendentemente alto. L’AI, in forma di agenti vocali, non giudica, non mostra espressioni ambigue e non crea imbarazzi. Al contrario, si limita a porre domande pertinenti, in modo coerente e strutturato, offrendo un’esperienza lineare e rassicurante.
L’analisi ha messo in luce numeri che non lasciano spazio a dubbi: +12% di offerte di lavoro, +18% di assunzioni e +17% di permanenza nei primi 30 giorni rispetto ai colloqui condotti da selezionatori umani. Non si tratta di un dettaglio, ma di una differenza concreta che apre la porta a nuove riflessioni sul futuro della selezione del personale. L’idea che “il prossimo colloquio di lavoro potrebbe essere gestito da un’AI” non è quindi un titolo provocatorio, bensì una tendenza in crescita, soprattutto laddove le imprese cercano efficienza, riduzione dei costi e procedure standardizzate.
Perché i candidati preferiscono l’intelligenza artificiale
Un altro dato significativo riguarda la preferenza dei candidati. Quando è stato concesso di scegliere, il 78% delle persone ha optato per l’intervista con l’AI. Una percentuale così alta non si spiega solo con la curiosità tecnologica, ma con la percezione di un ambiente più equo e meno ansiogeno. Molti candidati hanno spiegato che, con l’AI, si sentivano liberi di esprimersi senza il timore di un giudizio immediato o di un’interruzione improvvisa.
“L’intelligenza artificiale non interrompe, non giudica, non si distrae”, sottolineano i ricercatori. Questa costanza rende l’esperienza più prevedibile e meno soggetta a errori di valutazione. Inoltre, gli agenti vocali coprono più argomenti, pongono domande rilevanti e raccolgono informazioni più dettagliate, aumentando così la qualità dei dati a disposizione delle aziende. Un vantaggio non da poco, considerando che il tasso di successo dei colloqui gestiti da AI è risultato pari al 9,73%, contro l’8,7% dei colloqui condotti da recruiter in carne e ossa.
L’impatto economico dell’adozione dell’AI
Oltre agli aspetti umani e psicologici, lo studio ha valutato anche la sostenibilità economica. L’uso dell’AI, infatti, non ha lo stesso impatto in tutti i mercati. I dati mostrano che l’adozione di strumenti basati su intelligenza artificiale è particolarmente vantaggiosa nei Paesi con salari medio-alti, dove il costo di un selezionatore umano incide notevolmente sui bilanci aziendali. In questi contesti, i sistemi AI possono garantire efficienza a costi contenuti.
Al contrario, in Paesi a basso reddito, l’AI non risulta ancora competitiva, perché i costi della tecnologia non vengono compensati dal risparmio rispetto alle retribuzioni locali. Ciò significa che, almeno per ora, il successo dell’AI nei colloqui di lavoro dipende fortemente dal contesto economico. Tuttavia, gli autori dello studio ritengono che, con la progressiva riduzione dei costi legati allo sviluppo e alla gestione dei sistemi, la diffusione potrà diventare globale.
Vantaggi e limiti dei colloqui con l’AI
Secondo gli studiosi, l’adozione di agenti vocali AI introduce diversi vantaggi. In primo luogo, riduce il rischio di pregiudizi inconsci da parte del selezionatore umano, un aspetto spesso sottolineato nelle ricerche sul mondo del lavoro. In secondo luogo, consente di standardizzare il processo, garantendo che tutti i candidati ricevano le stesse domande e siano valutati secondo criteri comuni. Questo migliora l’accesso al lavoro, soprattutto per chi teme di essere discriminato per genere, età o provenienza.
Tuttavia, restano alcuni limiti. “L’intelligenza artificiale non sostituisce l’empatia umana”, spiegano i ricercatori. Nessun algoritmo, per quanto sofisticato, può cogliere sfumature emotive o motivazioni personali allo stesso livello di un selezionatore esperto. L’AI, dunque, non va vista come una sostituzione totale dell’uomo, ma come uno strumento complementare che rende il processo più razionale ed efficiente.
Verso un futuro di selezione ibrida
La prospettiva che emerge da questo studio è quella di un futuro ibrido. Da un lato, l’AI potrebbe diventare la norma per i colloqui preliminari, utili a filtrare i candidati e raccogliere dati strutturati. Dall’altro, le fasi finali della selezione potrebbero restare affidate ai recruiter, proprio per preservare quell’aspetto umano che ancora oggi rappresenta un valore aggiunto. In questo equilibrio, aziende e candidati potrebbero trovare una nuova modalità di incontro: più efficiente, più equa e meno stressante.
