Nel sud-ovest della Sardegna un progetto Enea bonifica i suoli contaminati dai metalli pesanti: i risultati nel sito di Ingurtosu
Nel cuore del sud-ovest della Sardegna, tra i resti dell’antico distretto minerario di Ingurtosu, prende forma un’iniziativa dal valore scientifico e ambientale straordinario. Come riportato da GreenReport.it, partner informativo di GiornaleTecnologico.net, il progetto Return guidato dall’ENEA punta a ripristinare i terreni contaminati da piombo e zinco utilizzando batteri e piante autoctone. L’area, situata all’interno del Parco geominerario riconosciuto dall’Unesco, è stata segnata da decenni di estrazioni intensive che hanno lasciato un’eredità tossica nel suolo. Per contrastare questo impatto, già dal 2011 i ricercatori hanno condotto studi sistematici, in collaborazione con l’Università di Cagliari, su come l’attività microbica e la vegetazione spontanea influenzino la presenza di metalli pesanti. Dopo oltre un decennio di ricerche, si è finalmente giunti a un risultato tangibile: la crescita controllata di elicriso nei suoli recuperati testimonia la riuscita del modello.
Il ruolo dei batteri nella rigenerazione dei terreni
Microrganismi autoctoni capaci di sopravvivere dove nulla cresce più
Il principio alla base del progetto è la bioaugmentation, una tecnica che prevede l’introduzione nel terreno di batteri isolati localmente e selezionati per le loro proprietà benefiche. In questo caso, sono stati identificati 11 ceppi batterici provenienti direttamente dagli scarti minerari della zona. La loro peculiarità non è solo quella di resistere a concentrazioni elevate di metalli pesanti, ma anche di produrre composti utili per la crescita delle piante. Questi batteri invisibili ma essenziali migliorano la biodiversità del suolo e ne stabilizzano la struttura, favorendo un lento ritorno alla fertilità.
La ricercatrice dell’ENEA Chiara Alisi ha spiegato che «i batteri non possono degradare i metalli pesanti, ma possono contribuire ad immobilizzarli e favorire la rigenerazione del terreno». In altre parole, i microrganismi rendono meno mobili – e quindi meno pericolosi – i metalli, creando le condizioni per cui le piante tornano ad attecchire anche in ambienti compromessi. È qui che entra in gioco la sinergia tra batteri e flora autoctona: un equilibrio che restituisce vita dove prima c’era solo tossicità.
Il contributo delle piante locali nella bonifica
Elicriso e vegetazione spontanea come alleate contro l’inquinamento
A sostenere la strategia messa in atto dal progetto Return non sono solo i batteri, ma anche le piante che da sempre popolano i suoli sardi. In particolare, l’elicriso, conosciuto per le sue proprietà aromatiche e officinali, è stato scelto come specie pilota per la fitorimediazione. Questa pianta si è dimostrata particolarmente efficace nell’adattarsi ai terreni trattati, contribuendo a rinforzare il suolo, ridurre l’erosione e stabilizzare l’ecosistema microbico. Il ritorno della vegetazione è inoltre un segnale chiave della salute ecologica del territorio, nonché un indicatore della riuscita del processo di bonifica.
Il modello sperimentale si fonda su un principio sostenibile e replicabile: non si tratta di sostituire la natura, ma di aiutarla a riprendersi i propri spazi. Le piante non agiscono da sole ma sono sostenute dal lavoro dei batteri che nutrono il terreno e ne favoriscono la ricostruzione biologica. Così si innesca un circolo virtuoso, che potrebbe essere esportato anche in altre aree industriali dismesse e contaminate.
Un progetto nazionale con ricadute globali
Dal PNRR un sostegno concreto alla scienza ambientale italiana
Return rappresenta una delle tante azioni finanziate nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ma si distingue per il forte legame con il territorio e l’approccio scientifico innovativo. Oltre all’ENEA e all’Università di Cagliari, partecipano al progetto sei enti partner che condividono l’obiettivo di sviluppare tecniche di bonifica naturali, economicamente accessibili e scientificamente validate.
I risultati ottenuti finora sono incoraggianti: secondo i ricercatori, l’approccio microbiologico ha ridotto la concentrazione e la pericolosità dei metalli pesanti, migliorato la copertura vegetale spontanea e riattivato la funzionalità del suolo. Questi effetti non solo favoriscono il recupero ambientale, ma riducono il rischio per la salute pubblica e potrebbero trasformarsi in un modello strategico per il futuro della bonifica in Italia e nel mondo.