Ipertensione resistente: farmaco stabilizza la massima in poche settimane

Una pillola sperimentale blocca l’aldosterone e riduce la pressione sistolica fino a –9,8 mmHg in 12 settimane nei pazienti con valori ancora alti

L’ipertensione che non scende, anche con più terapie e con stili di vita corretti, è un problema clinico enorme. In questi casi entra in gioco l’aldosterone, un ormone che favorisce il riassorbimento di sodio e la perdita di potassio: quando è troppo, la pressione sale e resta alta. La nuova compressa baxdrostat (AstraZeneca) è un inibitore selettivo dell’aldosterone sintasi: agisce a monte della produzione dell’ormone, senza colpire altre vie endocrine. L’obiettivo è semplice: ridurre il “carburante” ormonale che alimenta la pressione. I risultati di fase III mostrano che una dose una volta al giorno aggiunta alla terapia standard può abbassare la sistolica in modo statisticamente significativo in pazienti con ipertensione non controllata o resistente. Dati e dettagli sono stati svelati nelle Hot Line del Congresso ESC 2025 a Madrid.

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Lo studio BaxHTN: numeri, criteri e disegno

BaxHTN è un trial di fase III, randomizzato, in doppio cieco e controllato con placebo. Ha arruolato 796 adulti con pressione sistolica compresa tra 140 e <170 mmHg nonostante almeno due antipertensivi (non controllata) o tre o più (resistente), incluso un diuretico. Tutti hanno proseguito la terapia in corso e sono stati assegnati a baxdrostat 1 mg, 2 mg oppure placebo, una volta al giorno, per 12 settimane. L’end-point primario era la variazione della sistolica seduta rispetto al placebo; tra i secondari, la quota di pazienti con PA sistolica <130 mmHg e i profili di sicurezza.

Nel complesso, il trial è stato condotto in centinaia di centri su più continenti, con criteri di esclusione per potassio anomalo e filtrato glomerulare <45 mL/min/1,73 m², così da limitare il rischio di iperkaliemia e tutelare la funzione renale. Il disegno robusto e la durata di 12 settimane consentono di valutare l’efficacia a breve periodo on top delle cure correnti, situazione molto realistica per chi ha una pressione difficile da trattare.

I risultati: fino a –9,8 mmHg e più controlli <130 mmHg

Dopo 12 settimane, baxdrostat ha centrato l’end-point primario: –8,7 mmHg con 1 mg e –9,8 mmHg con 2 mg rispetto al placebo, con un aumento netto dei pazienti che raggiungono <130 mmHg: 39,4% (1 mg) e 40% (2 mg) contro 18,7% con placebo. Sono differenze clinicamente significative, perché riduzioni anche modeste della sistolica si associano a minore rischio di ictus, infarto e scompenso nel lungo periodo.

Sul fronte sicurezza, il profilo è apparso generalmente favorevole, con eventi avversi per lo più lievi e iperkaliemia confermata intorno all’1%; segnale da monitorare ma atteso per una terapia che incide sull’aldosterone. Non sono emerse interazioni clinicamente rilevanti con terapie di largo uso nei dati resi pubblici. Servono comunque follow-up più lunghi e campioni più ampi per definire la tollerabilità di medio-lungo termine.

Cosa cambia per pazienti e clinici

Per i pazienti con ipertensione resistente, un calo medio vicino a –10 mmHg può essere decisivo. Significa meno ricoveri e meno complicanze nel tempo, specie quando la terapia standard è già “al massimo”. Baxdrostat introduce un meccanismo nuovo in ipertensione, campo in cui non si vedevano innovazioni di classe da decenni. Il farmaco è allo studio anche in combinazione con terapie per rene e cuore, prospettando un impatto potenzialmente trasversale nei pazienti a rischio.

Sul piano regolatorio, AstraZeneca ha indicato l’intenzione di presentare domanda di approvazione entro il 2025, mirando a possibili via libera nel 2026 in USA ed UE, se le autorità confermeranno beneficio-rischio e qualità del dossier. Fino ad allora, il farmaco resta sperimentale e non è disponibile per l’uso di routine.

Limiti, domande aperte e prossimi passi

I risultati di 12 settimane sono promettenti, ma restano domande: quanto dura l’effetto nel lungo termine? Qual è l’impatto su eventi duri (ictus, infarto, mortalità)? E come si posizionerà rispetto ad altri inibitori dell’aldosterone sintasi (es. lorundrostat)? Gli studi in corso e quelli post-registrativi dovranno rispondere, insieme a confronti testa-a-testa e valutazioni su qualità di vita e aderenza. Nel frattempo, per chi ha ipertensione difficile, il messaggio è chiaro: si profila un’opzione in più, mirata al driver ormonale della malattia.

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