Indice
- 1 Pubblicizzate come verdi, emettono un quantitativo di CO₂ molto più alto di quello dichiarato nei test
- 2 Il divario tra test e realtà che fa arrabbiare
- 3 Emissioni reali: più vicine a un’auto a benzina che a un’elettrica
- 4 Le conseguenze economiche
- 5 Il futuro della mobilità elettrica
- 6 Cosa possiamo fare
Pubblicizzate come verdi, emettono un quantitativo di CO₂ molto più alto di quello dichiarato nei test
Negli ultimi mesi è emerso un risultato che fa saltare sulla sedia l’industria dell’auto e le istituzioni europee: secondo un recente rapporto di Transport & Environment (T&E), le auto ibride plug-in, quelle che promettono di funzionare in gran parte “a batteria” e in parte “a combustione”, in realtà emettono un quantitativo di CO₂ molto più alto di quello dichiarato nei test ufficiali. I ricercatori hanno analizzato circa 800 000 veicoli in circolazione in Europa, di cui 127 000 ibridi plug-in, scoprendo che questi veicoli riducono le emissioni mediamente solo del 19 % rispetto alle auto a benzina o diesel. Contrariamente ai valori ufficiali che parlavano di riduzioni del 75 %.
La discrepanza nasce, spiegano gli studiosi, da una sovrastima drammatica del cosiddetto fattore di utilizzo elettrico, ovvero la quota di chilometri percorsi in modalità “solo elettrica”. Nei test europei WLTP si stimava che l’84 % dei chilometri venisse fatto in modalità elettrica, mentre la realtà è ben distante: il dato reale è intorno al 27 %. E non è tutto: anche quando l’auto “dichiarata elettrica” entra in modalità batteria, le emissioni rilevate superano ampiamente quelle dei test, segno che il motore a combustione continua a entrare in funzione più spesso del previsto.
Le conseguenze non sono solo tecniche: il report di T&E evidenzia che grazie a questi valori pubblicizzati troppo ottimistici, le case automobilistiche avrebbero potuto evitare multe per oltre 5 miliardi di euro tra il 2021 e il 2023. Per gli automobilisti, le stime “fantasiose” sui costi e sulle emissioni si traducono in un onere extra: circa 500 euro in più all’anno rispetto a quanto si era fatto credere nei test WLTP.
Alla luce di questi dati, emerge con chiarezza che le ibride plug-in non sono la svolta “verde” che molti speravano e, forse, sono uno degli stratagemmi più efficaci mai visti per aggirare gli obiettivi di CO₂. Come sintetizza con durezza il direttore di T&E Italia, Andrea Boraschi: “Gli ibridi plug-in sono uno dei più grandi bluff della storia dell’auto. Le loro emissioni si avvicinano a quelle delle auto a benzina e, persino in modalità elettrica, corrispondono a otto volte i valori dichiarati nei test ufficiali.”
Il divario tra test e realtà che fa arrabbiare
I test ufficiali di omologazione in Europa seguono la procedura WLTP (Worldwide Harmonised Light Vehicle Test Procedure) e stimano che molte auto ibride plug-in percorrano circa l’84 % dei chilometri in modalità elettrica. Secondo gli studi reali, però, la percentuale è molto più bassa e si attesta sul 27 %. Il risultato è che le emissioni reali sono molto più alte di quanto dichiarato.
Le misurazioni condotte da T&E su strada hanno rilevato che le emissioni di CO₂ di alcune auto plug-in erano 3-5 volte superiori rispetto ai valori ufficiali. In certi test urbani, con batteria scarica, sono state rilevate emissioni fino a 200 g/km, valori pari a quelli di un SUV a benzina comune. Questo sovraccarica sia l’ambiente sia il portafoglio di chi le possiede.

Emissioni reali: più vicine a un’auto a benzina che a un’elettrica
Il dato più sconvolgente è che queste ibride plug-in, nel migliore dei casi, emettono solo circa il 19 % in meno di CO₂ rispetto a un’auto tradizionale a benzina o diesel. Non certo quel 75 % in meno che veniva sbandierato. Secondo T&E, il fattore determinante è la bassa percentuale di chilometri percorsa in effettiva modalità elettrica: quando il motore a benzina o diesel viene usato più di quanto stimato, le emissioni crescono fortemente. Inoltre, molti guidatori non ricaricano la batteria quanto dovrebbero, e molte auto lanciano il motore termico anche quando hanno potenza elettrica disponibile. Il risultato: più combustione fossile, meno “verde” reale.
Le conseguenze economiche
Dal lato dell’industria, grazie ai valori “falsati” delle emissioni, alcune case automobilistiche hanno evitato sanzioni per oltre 5 miliardi di euro tra il 2021 e il 2023. Il motivo? Le flotte risultavano conformi ai limiti CO₂ grazie ai numeri ottimistici delle ibride plug-in.
Dal lato dell’utilizzatore privato, invece, la delusione si traduce in costi maggiori del previsto. Perché se l’auto macchina poco in modalità elettrica, i consumi di carburante aumentano e la manutenzione può diventare più onerosa. T&E stima un sovraccosto circa 500 euro l’anno rispetto alle stime fornite nei test WLTP. Il risparmio promesso non si è realizzato.
Dal punto di vista normativo, lo scandalo arriva in un momento critico: l’European Commission sta valutando una revisione delle regole sulle emissioni e sulla categoria delle auto “pulite”. Molti governi europei e partiti politici premono perché vengano esclusi dall’ecobonus tali veicoli se non funzionano come dichiarato.
Il futuro della mobilità elettrica
La pubblicazione del rapporto T&E avviene mentre l’Unione Europea si prepara a stringere le maglie della normativa ambientale entro fine anno. Il dibattito verte soprattutto su uno stop alla produzione di nuove auto a benzina e diesel a partire dal 2035. Le associazioni dell’industria automobilistica spingono perché venga mantenuta la “neutralità tecnologica”, ovvero che anche le ibride plug-in possano continuare ad essere considerate “verdi”. Ma i dati contrari alle aspettative rischiano di rafforzare la posizione delle istituzioni più restrittive.
In questo contesto alcune nazioni europee valutano di ridurre gli incentivi per le ibride plug-in o di aumentarne le tasse. Il messaggio è chiaro: se un’auto non funziona come dichiarato in termini di emissioni, non può essere considerata parte della “soluzione climatica”. Al contrario, viene sempre più spesso vista come un effetto collaterale della strategia automobilistica, destinata a proteggere i profitti più che l’ambiente.
Cosa possiamo fare
In sintesi: le auto ibride plug-in, pur presentate come un ponte verso la mobilità elettrica, mostrano numeri che mettono in dubbio la loro effettiva efficacia ambientale. Le promesse dei test di laboratorio non si riflettono nel traffico quotidiano. Per il consumatore questo significa fare attenzione: non basta acquistare un’ibrida plug-in pensando di ridurre drasticamente le emissioni: bisogna verificarne effettivamente l’utilizzo in modalità elettrica, la frequenza di ricarica, e confrontare i costi reali.
Per le istituzioni e per le case automobilistiche, invece, il messaggio è altrettanto forte: non bastano più i dati ottimistici dei test. Serve trasparenza sui dati reali, regolamentazioni che riflettano la realtà su strada, e incentivi che guardino ai risultati concreti, non solo alle promesse. Altrimenti rischiamo che la mobilità “verde” resti un’etichetta lucida su un copione già scritto da decenni.
