Indice
- 1 Una ricerca dell’Università di San Diego apre a una terapia capace di proteggere il cervello e rallentare la progressione della malattia
- 2 Studio sui topi: memoria salvata nella fase sintomatica
- 3 Riprogrammare le cellule malate per fermare la malattia
- 4 Prossimi passi verso la sperimentazione sull’uomo
- 5 Verso una nuova frontiera della medicina cerebrale
Una ricerca dell’Università di San Diego apre a una terapia capace di proteggere il cervello e rallentare la progressione della malattia
Un team di ricerca dell’Università della California a San Diego ha sviluppato una nuova terapia genica che potrebbe rivoluzionare il trattamento dell’Alzheimer. A differenza dei farmaci attualmente in uso, che mirano a ridurre l’accumulo di proteine anomale nel cervello, questo approccio agisce direttamente sul comportamento delle cellule cerebrali. Lo scopo non è solo mitigare i sintomi, ma colpire alla radice i meccanismi che causano la malattia. I primi risultati ottenuti sui topi mostrano un miglioramento della funzione cognitiva e una conservazione delle capacità mnemoniche, aprendo la strada a nuove possibilità terapeutiche.
L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa che colpisce milioni di persone nel mondo, causando perdita progressiva di memoria e funzioni cognitive. È legata alla presenza di proteine anomale che si accumulano nel cervello, provocando morte cellulare e deterioramento neurologico. I trattamenti oggi disponibili offrono un sollievo parziale, agendo sui sintomi, ma non arrestano la malattia. La terapia genica studiata a San Diego, invece, punta a riprogrammare le cellule cerebrali malate, riportandole a uno stato più sano e funzionale.
Studio sui topi: memoria salvata nella fase sintomatica
La sperimentazione è stata condotta su topi con sintomi evidenti della malattia. I ricercatori hanno osservato che la somministrazione della terapia genica ha consentito di preservare la memoria dipendente dall’ippocampo, una funzione cruciale spesso compromessa nei pazienti affetti da Alzheimer.
Un altro risultato significativo riguarda l’espressione genica nei cervelli trattati. I topi curati mostravano profili genetici simili a quelli dei coetanei sani, indicando che il trattamento potrebbe davvero invertire alcuni dei processi cellulari legati alla neurodegenerazione. “Il nostro obiettivo è ripristinare le funzioni cerebrali compromesse, non solo rallentare la malattia,” spiegano gli autori.
Riprogrammare le cellule malate per fermare la malattia
La terapia sviluppata non elimina le placche di proteina beta-amiloide né agisce sulla tau, le due principali colpevoli della malattia secondo le teorie classiche. Invece, interviene sulla regolazione dell’attività genetica dei neuroni stessi, cercando di modificare il modo in cui si comportano le cellule già compromesse.
Questo approccio potrebbe rappresentare una svolta clinica. Gli autori dello studio sottolineano che “alterando direttamente la funzione dei neuroni, possiamo mirare a riparare il danno cellulare già in atto”. Anche se la strada per arrivare a un’applicazione clinica è ancora lunga, i risultati sui modelli animali sono considerati estremamente incoraggianti.
Prossimi passi verso la sperimentazione sull’uomo
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Signal Transduction and Targeted Therapy, ed è stato guidato da Brian Head, professore di anestesiologia e ricercatore presso il Veterans Affairs, e Shanshan Wang, assistente in anestesiologia presso la stessa università. La tecnologia terapeutica alla base di questa scoperta è stata brevettata e concessa in licenza nel 2021 a Eikonoklastes Therapeutics, che l’ha già sviluppata anche per l’uso contro la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), ottenendo la designazione di farmaco orfano dalla FDA.
Il passaggio dalla sperimentazione animale a quella clinica sull’uomo richiederà tempo, ma il potenziale della terapia è elevato. “Questa tecnica potrebbe offrire una nuova speranza per milioni di pazienti”, affermano i ricercatori, “in un contesto in cui la prevenzione e la cura dell’Alzheimer rappresentano una delle maggiori sfide della medicina contemporanea.”
Verso una nuova frontiera della medicina cerebrale
Se validata anche sugli esseri umani, la terapia potrebbe entrare in una fase di sperimentazione clinica entro pochi anni, aggiungendosi agli approcci emergenti nel campo della medicina rigenerativa. Il trattamento apre inoltre scenari applicabili ad altre malattie neurodegenerative, estendendo i benefici potenziali a patologie come la demenza frontotemporale o il morbo di Parkinson.
L’obiettivo ultimo dei ricercatori è trasformare il modo in cui trattiamo il cervello malato, rendendo possibile non solo bloccare il deterioramento cognitivo, ma addirittura riattivare le funzioni compromesse. La strada è appena stata tracciata, ma il futuro della neurologia potrebbe cambiare per sempre.
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