Indice
- 1 Ricercatori giapponesi ottengono la crescita record di organoidi epatici da cellule umane: nuove speranze per trapianti, farmaci e malattie genetiche
- 2 Il segreto è una molecola chiamata oncostatina M
- 3 Dai topi all’uomo: trapianti e rigenerazione del fegato
- 4 Organoidi epatici per test farmacologici più realistici
- 5 Malattie genetiche potranno esser studiate meglio
- 6 Quale futuro per la medicina del fegato?
Ricercatori giapponesi ottengono la crescita record di organoidi epatici da cellule umane: nuove speranze per trapianti, farmaci e malattie genetiche
Con un balzo che potrebbe segnare una svolta nella medicina rigenerativa, un team di scienziati giapponesi ha ottenuto la proliferazione più estesa mai registrata di organoidi epatici umani. In laboratorio, i ricercatori sono riusciti a far crescere mini-fegati tridimensionali derivati da epatociti adulti fino a un milione di volte la loro dimensione iniziale, in meno di un mese, mantenendo le principali funzioni biochimiche del fegato.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, è stata condotta presso la Keio University School of Medicine, da un team guidato da Ryo Igarashi e Mayumi Oda, con la supervisione del professor Toshiro Sato. Al centro dello studio, non solo la possibilità di replicare in vitro un fegato funzionante, ma anche la sfida di renderlo longevo, stabile e utilizzabile clinicamente. Un risultato che, se scalato su dimensioni compatibili con il corpo umano, potrebbe aprire nuovi orizzonti per chi oggi attende un trapianto di fegato o soffre di malattie epatiche croniche.
Il segreto è una molecola chiamata oncostatina M
Il risultato è stato ottenuto partendo da epatociti umani adulti crioconservati, cioè cellule prelevate da donatori e congelate per la conservazione a lungo termine. Il team ha trattato queste cellule con oncostatina M, una molecola segnale coinvolta nelle risposte infiammatorie, e in grado – come dimostrato ora per la prima volta – di sbloccare il potenziale proliferativo degli epatociti.
La differenza rispetto ai tentativi precedenti è netta. In studi passati, gli epatociti tendevano a degenerare in pochi giorni o a differenziarsi in colangiociti, cellule delle vie biliari, perdendo così la capacità di simulare il comportamento del fegato. Ora, invece, gli organoidi sono sopravvissuti per oltre sei mesi, continuando a produrre composti vitali come glucosio, urea, colesterolo, acidi biliari e albumina.
“Conosciamo solo poche molecole in grado di stimolare le cellule a formare organoidi e a farle moltiplicare”, ha dichiarato il professor Sato. “L’oncostatina M è una scoperta nuova, e ci permette di generare organoidi che prima sembravano impossibili da ottenere”.

Dai topi all’uomo: trapianti e rigenerazione del fegato
Una parte cruciale dello studio è consistita nel testare gli organoidi in vivo. Gli scienziati li hanno trapiantati in topi da laboratorio con fegato non funzionante e sistema immunitario compromesso, osservando con stupore che le cellule umane si sono integrate nei tessuti e hanno ripristinato le funzioni epatiche dei roditori.
“Abbiamo dimostrato che il trapianto di organoidi epatici è possibile nei topi”, spiega Sato. “Ora la sfida è riprodurre questo risultato su scala umana: servono miliardi di cellule per ricostruire un fegato intero”.
Nel mondo, il fegato è uno degli organi più richiesti per i trapianti, ma anche tra i più difficili da conservare e utilizzare: degrada rapidamente dopo l’espianto, e la finestra utile per l’intervento è strettissima. A questo si aggiunge l’aumento globale di malattie epatiche come la MASLD (Malattia epatica steatosica associata a disfunzione metabolica), che affligge oltre il 30% della popolazione mondiale.
Organoidi epatici per test farmacologici più realistici
Oltre ai trapianti, gli organoidi offrono anche enormi vantaggi per la ricerca farmacologica. Oggi, i test sui farmaci per il fegato si affidano a epatociti umani isolati da donatori, che costano tra i 670 e i 2.000 dollari a fiala e hanno variabilità elevata nelle prestazioni. Spesso, inoltre, perdono le loro funzioni in pochi giorni, rendendo i test instabili e poco affidabili.
Gli organoidi epatici coltivati in laboratorio, invece, si comportano in modo più uniforme, durano più a lungo e permettono esperimenti ripetibili e controllati. Nell’esperimento giapponese, gli scienziati sono riusciti a riprodurre la steatosi epatica e a testare l’efficacia di farmaci sperimentali. Le cellule, inoltre, hanno prodotto autonomamente lipidi – e li hanno smaltiti dopo il trattamento – senza bisogno di iniezioni artificiali, rendendo il modello più simile alla realtà clinica.
Malattie genetiche potranno esser studiate meglio
Un altro fronte di applicazione è quello delle patologie genetiche del fegato. Il team della Keio University è riuscito a modificare geneticamente gli organoidi per riprodurre il deficit di ornitina transcarbamilasi, una malattia rara che colpisce il ciclo dell’urea. Un risultato che dimostra quanto questo modello sia adatto non solo a testare terapie, ma anche a simulare l’intera evoluzione di una malattia genetica, cellula per cellula.
Quale futuro per la medicina del fegato?
Il successo ottenuto dai ricercatori giapponesi apre nuove strade per la medicina di precisione, la farmacologia, la biologia dello sviluppo e soprattutto la medicina rigenerativa. Se gli organoidi epatici potranno essere prodotti in scala industriale e con funzioni sempre più complesse – magari includendo anche cellule stellate, di Kupffer e del sistema immunitario locale – potrebbero cambiare radicalmente la gestione clinica delle malattie epatiche.
La possibilità di partire da epatociti crioconservati e ottenere un tessuto vitale e funzionante offre anche nuove speranze per le biobanche e i trapianti su richiesta, riducendo la dipendenza da donazioni fresche e ampliando l’accesso a cure salvavita.
Fonte:
Generation of human adult hepatocyte organoids with metabolic functions – Nature